Brexit, nove anni dopo: tra miti, dati e il grande reset del 2025

Ultimo aggiornamento: Luglio 2025

Cosa è rimasto delle promesse? Dati reali su inflazione, stipendi e il nuovo accordo UK–UE

Nel 2016 ci avevano promesso che la Brexit avrebbe riportato ricchezza, sovranità e lavoro. Nove anni dopo, il Regno Unito firma un nuovo accordo con l’Unione Europea che segna un “reset” delle relazioni. Non è un ritorno all’UE, ma suona molto come un “ops, scherzavamo”.

Nel frattempo, molte delle previsioni catastrofiche sono state smentite. Ma anche molte delle promesse miracolose si sono rivelate aria fritta. In questo articolo facciamo il punto: cosa è successo davvero? E quanto ci ha rimesso (o guadagnato) davvero il Regno Unito?

🧩 La gestione della Brexit: tra caos e compromessi

All’inizio fu il caos. Il governo May sembrava voler uscire dall’UE con una “hard Brexit” senza rete di protezione, mentre Farage — l’uomo con la faccia da “non sono stato io” anche quando è stato lui — già parlava di nuovi referendum. Il piano? Nessuno. Il metodo? Nessuno. L’effetto? Prevedibile.

Ma col tempo, tra governi traballanti e trattative infinite, qualcosa si è mosso. Dopo il disastro iniziale, il Regno Unito ha rinegoziato più volte i termini dell’uscita, fino ad arrivare al 2025 con un nuovo accordo che, pur non riportandolo nell’UE, ne riallaccia molti fili.


Carro di carnevale 2016 Theresa May si spara con la pistola "brexit"

📉 Inflazione post-Brexit: niente 33%, ma nemmeno rose e fiori

Ricordi quando si parlava di un’inflazione al 33%? Una cifra sparata come se fosse un meme da bar, e invece ripresa con sorprendente serietà da giornali e talk show. La realtà dell’inflazione post-Brexit è stata molto diversa — meno apocalittica, ma comunque fastidiosa.

Secondo l’Office for National Statistics (ONS), l’inflazione nel Regno Unito ha oscillato tra il 2% e il 4% nei primi anni dopo il referendum, con picchi legati alla svalutazione della sterlina e alle solite turbolenze globali. Nessuna iper-inflazione, certo, ma il costo della vita nel Regno Unito dopo Brexit è aumentato in modo tangibile, soprattutto per chi già faceva fatica a fine mese. E no, non è colpa dell’Europa se il burro costa il doppio.

💷 Stipendi e lavoro: chi ha perso davvero?

Un’altra leggenda urbana da sfatare: “gli stipendi caleranno del 2%”. In realtà, i dati sugli stipendi nel Regno Unito dopo Brexit raccontano una storia più complicata. Alcuni settori — logistica, agricoltura, ristorazione — hanno subito contraccolpi, ma altri hanno visto aumenti per carenza di manodopera. Insomma, non è stato un crollo, ma nemmeno una festa.

Il vero nodo è la polarizzazione del mercato del lavoro post-Brexit: i lavori poco qualificati sono diventati più instabili e meno appetibili, mentre quelli specializzati sono diventati merce rara. E chi pensava che “mandando via gli stranieri” avrebbe trovato lavoro sotto casa, ha scoperto che il problema non era l’immigrato. Era il curriculum.

🌍 Commercio e relazioni internazionali: il grande ritorno (mascherato)

Il Regno Unito ha passato anni a cercare accordi commerciali con chiunque avesse un passaporto e una bandiera. USA, India, Australia, perfino il Kazakistan. Ma i numeri sono impietosi: l’accordo con gli USA ha portato un +0,2% sul PIL. Quello con l’Australia? Meno dello 0,1%.

Nel frattempo, il commercio con l’UE — che rappresentava oltre il 40% dell’export britannico — è crollato, salvo poi essere parzialmente recuperato con il nuovo accordo del 2025.

🔄 Il reset del 2025: fine della Brexit ideologica

Nel maggio 2025, il governo Starmer ha firmato un nuovo accordo con l’Unione Europea che segna un cambio di rotta netto. Non è un ritorno all’Unione, ma è un ritorno al buon senso. Dopo anni di slogan e bandierine, si è passati finalmente a una fase di cooperazione post-Brexit più concreta e meno teatrale.

Questo nuovo accordo UK–UE 2025, definito da molti un vero e proprio “reset Brexit”, ha riaperto canali fondamentali per la stabilità economica e diplomatica del Regno Unito. Ecco cosa prevede:

  • Difesa e sicurezza: partecipazione al fondo europeo Rearm da 150 miliardi di euro

  • Mobilità giovanile: visti agevolati per under 30, senza ripristinare la libertà di movimento

  • Pesca: accesso reciproco alle acque territoriali fino al 2038

  • Commercio: rimozione dell’80% dei controlli doganali su prodotti agroalimentari

  • Energia e cybersicurezza: rafforzamento della collaborazione strategica

Insomma, dopo anni di “sovranismo a tutti i costi”, il Regno Unito torna a bussare a Bruxelles. E lo fa in silenzio, con il cappello in mano — come chi ha finalmente capito che l’isolamento non è sinonimo di indipendenza, ma solo di complicazioni.

🧠 Conclusione: la Brexit non è finita, è solo cambiata forma

La Brexit non è stata la fine del mondo, ma nemmeno l’inizio di una nuova età dell’oro. È stata — ed è ancora — una lunga, costosa, complicata lezione di realtà.

Chi ha venduto illusioni ha già cambiato discorso. Chi ha creduto che bastasse “riprendersi il controllo” ora si ritrova a negoziare ogni singolo dettaglio. E chi aveva previsto tutto questo, come spesso accade, è stato ignorato.

Ma i numeri parlano. E oggi, nel 2025, anche chi aveva urlato “fuori dall’Europa!” si ritrova a fare i conti con una verità semplice: non si può uscire da un continente.

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❓ Domande frequenti

La Brexit ha davvero danneggiato l’economia britannica?

Sì, ma in modo meno catastrofico di quanto previsto da alcuni e più sottile di quanto ammesso da altri. Il PIL ha rallentato, il commercio si è complicato, e la produttività è rimasta stagnante.

Il nuovo accordo del 2025 è un ritorno nell’UE?

No. È un accordo di cooperazione rafforzata, ma il Regno Unito resta fuori dall’Unione. Tuttavia, è un segnale chiaro di riavvicinamento pragmatico.

Le promesse fatte nel 2016 sono state mantenute?

In larga parte, no. La “sovranità” è costata cara, e i benefici economici promessi non si sono materializzati. Il Regno Unito ha dovuto rinegoziare quasi tutto ciò che aveva abbandonato.

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Fabrizio Leone
Blogger da oltre 15 anni, faccio del mio meglio per diffondere fatti e non fallacie logiche o punti di vista polarizzati e distorti. In Sociologia i media sono definiti "il quarto potere" e a ben donde: le notizie plasmano l'opinione pubblica e molti abusano di questa dinamica.