Cos’è davvero il femminicidio?
Il femminicidio è l’uccisione di una donna da parte di un uomo in un contesto di relazione affettiva o familiare, dove spesso sono presenti abusi fisici, psicologici, economici o sessuali. Non è un episodio isolato, ma il tragico culmine di un percorso di sopraffazione e violenza domestica. Il termine non vuole sminuire altre forme di violenza, ma sottolineare un problema strutturale che riguarda la sicurezza e la dignità delle donne.
I numeri in Italia: un fenomeno stabile e inquietante
Secondo le statistiche più recenti fornite da ISTAT e Ministero dell’Interno, ogni anno in Italia vengono uccise in media circa 100 donne per mano di partner o ex partner. Anche se gli omicidi complessivi nel Paese sono in costante diminuzione, il numero di femminicidi resta stabile, segno che non si tratta semplicemente di “criminalità comune”, ma di un fenomeno con caratteristiche peculiari.
Nel 2023, ad esempio, circa il 40% degli omicidi volontari ha avuto come vittima una donna, e oltre la metà di questi casi è avvenuta all’interno della sfera domestica. Questo conferma quanto la violenza affettiva sia spesso invisibile, latente e difficile da intercettare.
Quando il linguaggio genera confusione
Negli ultimi anni, però, il termine femminicidio è stato utilizzato in modo sempre più ampio, anche da parte dei media, per descrivere casi molto diversi tra loro. Alcuni esempi includono omicidi-suicidi con moventi strettamente personali o familiari, o addirittura episodi in cui una donna uccide un’altra donna, come in relazioni omosessuali o conflitti madre-figlia. In questi casi, si fa talvolta riferimento comunque a una presunta influenza culturale patriarcale, anche quando il contesto sembra non supportare questa interpretazione.
Questa estensione del termine — pur mossa dall’intento di evidenziare la gravità degli episodi — può generare ambiguità e polarizzazione, impedendo una lettura chiara delle dinamiche reali. Distinguere tra femminicidi in senso stretto, legati a controllo, possesso e dominio, e altri tipi di omicidi che coinvolgono vittime donne ma con moventi differenti, è fondamentale per elaborare strategie di prevenzione efficaci e mirate.
La violenza nelle coppie LGBT+: un segnale trasversale
Un altro elemento importante è che la violenza domestica non è esclusiva delle coppie eterosessuali. Nelle relazioni LGBT+ si registrano tassi di violenza simili, e in alcuni casi superiori, rispetto alle coppie tradizionali. Questo evidenzia che la causa principale non può essere ricondotta solo alla cultura patriarcale, ma anche alla dinamica relazionale tossica, al controllo, alla manipolazione e alla sofferenza emotiva non trattata.
Segnali da riconoscere per prevenire
Ci sono comportamenti che, se intercettati in tempo, possono rappresentare un campanello d’allarme:
controllo eccessivo della vita dell’altro,
isolamento dai familiari e dagli amici,
umiliazioni continue o svalutazioni,
esplosioni di rabbia o minacce,
gelosia morbosa e possessività.
Intervenire prima che la violenza degeneri è essenziale. Questo significa investire nella prevenzione, nella cultura del rispetto e nella salute mentale.
Quali sono le soluzioni possibili?
Educazione emozionale e affettiva nelle scuole, per sviluppare empatia e gestione dei conflitti.
Sostegno psicologico accessibile per chi manifesta comportamenti a rischio o vive relazioni problematiche.
Formazione per gli operatori, dalle forze dell’ordine agli assistenti sociali, per riconoscere e gestire i casi di violenza.
Campagne di sensibilizzazione, che includano tutte le vittime e promuovano un linguaggio non divisivo ma costruttivo.
Conclusione: cambiare lo sguardo per salvare vite
La violenza di genere è una realtà complessa, che non può essere affrontata con slogan o semplificazioni. Serve un approccio multidisciplinare, capace di riconoscere le molte sfaccettature del problema e intervenire con strumenti efficaci e umani. Solo così potremo ridurre il numero delle vittime e costruire relazioni più sane, sicure e rispettose.