📌 Introduzione: quando la tragedia diventa slogan
Ogni volta che una donna viene uccisa dal partner, il dibattito pubblico si accende attorno alla parola “femminicidio”. È un termine potente, ma anche controverso. Viene spesso accompagnato da accuse generalizzate al “patriarcato”, alla “cultura maschilista” e all’“uomo possessivo per natura”. Ma siamo sicuri che questa narrazione rifletta davvero la complessità del fenomeno?
🔍 Patriarcato e violenza: una correlazione automatica?
Secondo molte fonti istituzionali, il femminicidio è l’esito estremo di una cultura patriarcale che considera la donna come proprietà dell’uomo. Tuttavia, questa visione rischia di diventare una spiegazione totalizzante, che ignora altri fattori fondamentali:
Disturbi della personalità
Traumi infantili e violenza assistita
Dipendenze, isolamento sociale, disagio psichico
Dinamiche relazionali disfunzionali
Come sottolinea il criminologo Paolo Giulini, “definire i femminicidi come atti di mostri è una scorciatoia che ci impedisce di affrontare il problema nella sua complessità”.
🧠 Il profilo psicologico del femminicida
La psicologia forense ha individuato quattro profili principali di uomini che commettono femminicidio:
Disturbo mentale grave (psicosi, bipolarismo): spesso senza precedenti di violenza
Antisociale coercitivo: precedenti penali, abuso di sostanze, personalità narcisistica
Depressivo e dipendente: minacce di suicidio, incapacità di elaborare l’abbandono
Geloso ossessivo: disturbi dell’umore, movente passionale
In tutti i casi, si tratta di patologie individuali, non di una “natura maschile violenta”.
⚖️ Il doppio standard mediatico
Immaginiamo di invertire i ruoli. Se qualcuno scrivesse:
“Le donne sono tutte scostumate, aprono le gambe con chiunque e poi abortiscono i figli non voluti”
…verrebbe (giustamente) accusato di sessismo e disumanizzazione. Eppure, quando si dice che “gli uomini sono tutti potenziali stupratori”, o che “la violenza è nel loro DNA culturale”, nessuno si scandalizza.
Questo doppio standard alimenta un clima di colpevolizzazione collettiva che non aiuta le vittime, ma crea solo nuove divisioni.
🌍 E nei paesi realmente patriarcali?
Se davvero la violenza fosse solo una reazione all’emancipazione femminile, allora nei paesi dove le donne non sono affatto emancipate (es. Arabia Saudita, Afghanistan, Iran) la violenza dovrebbe essere assente. Invece, è diffusa, sistemica e brutale. Le donne vengono lapidate, mutilate, segregate. Questo dimostra che la sottomissione non protegge dalla violenza. Anzi, la legittima.
📊 Cosa dicono i dati?
Nel 2023, in Italia, 96 donne sono state uccise da partner o familiari. Il 65% degli omicidi familiari ha come vittima una donna, ma questo dato, pur drammatico, non giustifica una narrazione che riduce ogni caso a una colpa collettiva maschile.
La realtà è più complessa. La maggior parte degli uomini non è violenta, e molti sono vittime silenziose di violenza psicologica o fisica da parte di partner donne — un fenomeno ancora poco raccontato.
Un esempio emblematico di distorsione narrativa si è verificato nel 2022, quando una donna e sua figlia sono state uccise da un uomo (Salvatore Montefusco) in un contesto familiare altamente conflittuale fatto di umiliazioni e conflitti continui. Ma in altri casi, come quello di Rosina Carsetti, uccisa nel 2020, l’autrice dell’omicidio era la figlia femmina, condannata insieme al nipote. Eppure, anche quel caso è stato inizialmente incluso in alcune liste di “femminicidi”, e alcuni media hanno continuato ad usarlo come "numero" contribuendo a una narrazione che non distingue tra dinamiche familiari complesse e violenza di genere sistemica.
Come osserva la criminologa Laura Baccaro, fondatrice del Centro Studi e Ricerche sulla Devianza Femminile:
“La violenza femminile minaccia le vecchie interpretazioni femministe della femminilità intese come ‘sesso debole’ e come ‘donna vittima’. Le studiose femministe sono spesso restie ad accettare e riconoscere l’uso della violenza da parte delle donne. Così si finisce per rappresentare la donna violenta come vittima piuttosto che come autrice, riducendone la responsabilità morale e penale”.
Questo doppio standard — che demonizza l’uomo e assolve la donna — non solo è scorretto, ma ostacola una comprensione autentica della violenza domestica.
📊 Omicidi in ambito familiare: uomini e donne a confronto
Anno | Omicidi totali | Vittime donne | Vittime uomini | Omicidi familiari | Uomini uccisi in famiglia | Donne uccise in famiglia |
---|---|---|---|---|---|---|
2023 | 334 | 117 | 217 | 146 | 47 | 99 |
2024 (stima) | 319 | 110 | 209 | 153 | 54 | 99 |
2025 (gennaio) | 7 | 1 | 6 | 4 | 2 | 1 |
Nota: nel 2023, secondo i dati Istat e Criminalpol, gli uomini sono stati vittime del 65% degli omicidi totali, e quasi un terzo degli omicidi familiari ha avuto come vittima un uomo.
Fonti:
Istat – Omicidi 2023
Sonda Italia – Dati omicidi 2023
Ministero dell’Interno – Criminalpol 2025
Napolitan.it – Criminalpol 2024
Voci femminili contro la semplificazione ideologica del femminicidio
📍 Introduzione:
In un dibattito spesso polarizzato, dove ogni critica alla narrazione dominante viene bollata come “maschilismo”, esistono donne — professioniste, studiose, esperte — che mettono in discussione l’uso improprio del termine femminicidio. Non per negare la violenza, ma per restituirle complessità, rigore e verità. Ecco alcune delle loro voci.
👩⚖️ 1. Laura Baccaro – Criminologa, fondatrice del Centro Studi sulla Devianza Femminile
“La violenza femminile minaccia le vecchie interpretazioni femministe della femminilità intese come ‘sesso debole’ e come ‘donna vittima’. Le studiose femministe sono spesso restie ad accettare e riconoscere l’uso della violenza da parte delle donne. Così si finisce per rappresentare la donna violenta come vittima piuttosto che come autrice, riducendone la responsabilità morale e penale.”
🧠 2. Valentina Peloso Morana – Psicologa investigativa
“La parola femminicidio nasce in Messico per descrivere l’uccisione seriale di donne da parte di sconosciuti, spesso preceduta da violenza sessuale e occultamento del cadavere. In Italia, invece, la maggior parte degli omicidi avviene in contesti relazionali. Chiamarli femminicidi è improprio e ideologico.”
📰 3. Marina Terragni – Giornalista e saggista
“Il femminicidio è diventato un’arma retorica. Si parla solo delle donne uccise da uomini, mai degli uomini uccisi da donne. Eppure esistono. Ma non fanno notizia, non servono alla narrazione.”
📚 4. Anna Costanza Baldry – Psicologa giuridica (in memoriam)
“La violenza non è un tratto maschile. È un comportamento umano, che si manifesta in contesti di fragilità, dipendenza, distorsione affettiva. Serve prevenzione, non demonizzazione.”
📚 Fonte: Baldry A.C., “La violenza domestica”, Il Mulino, 2014
Queste voci dimostrano che criticare l’ideologia non significa negare la violenza. Significa volerla affrontare con strumenti seri, senza slogan, senza doppi standard, senza colpe collettive. Perché la verità non ha genere. E la giustizia nemmeno.
💬 Conclusione: serve una nuova narrazione
La violenza va condannata sempre. Ma non possiamo combatterla con slogan ideologici. Serve una narrazione che:
riconosca la complessità psicologica dei femminicidi
eviti la colpevolizzazione collettiva degli uomini
protegga le donne senza demonizzare il maschile
promuova un’educazione affettiva e relazionale per tutti
✍️ Proposta
Creiamo uno spazio di confronto serio, dove si possa parlare di violenza senza filtri ideologici. Dove si possano ascoltare le vittime di entrambi i sessi, e dove la prevenzione parta dall’educazione emotiva, non dalla propaganda.
Perché la violenza non è “maschile”. È umana. E come tale, va compresa, prevenuta e curata.