Arabia Saudita e la legittimazione della violenza domestica: il caso della guida televisiva

Nel 2016, un video trasmesso dalla televisione nazionale saudita ha suscitato indignazione internazionale. Il protagonista, un terapeuta familiare, illustrava pubblicamente come un marito dovrebbe “correggere” la propria moglie in caso di disobbedienza, seguendo una sequenza di azioni ispirate a una rigida interpretazione della legge islamica. Questo episodio ha riacceso il dibattito sulla violenza domestica nei paesi musulmani e sulla condizione delle donne in contesti dove religione, cultura e diritto si intrecciano in modo problematico.

La guida saudita: tre fasi per “disciplinare” la moglie

Secondo quanto riportato nel video, il comportamento “correttivo” si articola in tre fasi:

  1. Ammonizione verbale: il marito deve ricordare alla moglie i suoi “doveri” religiosi e coniugali, secondo l’interpretazione tradizionale della legge islamica.

  2. Isolamento nel letto: l’uomo deve ignorare la moglie durante la notte, dormendo nella stessa stanza ma voltandole le spalle, facendola dormire per terra o dormendo lui stesso sul tappeto, ma consiglia di non lasciare il tetto coniugale per evitare di “esporre” i problemi matrimoniali all’esterno.

  3. Punizione fisica “non lesiva”: viene suggerito l’uso di oggetti simbolici come un fazzoletto o un bastoncino per i denti, con l’obiettivo di “far sentire in colpa” la donna, senza causare danni fisici evidenti.

Il messaggio trasmesso è chiaro: la tutela maschile nella sharia viene interpretata come diritto a esercitare un controllo fisico e psicologico sulla moglie, in nome della disciplina familiare.

Arabia Saudita e diritti delle donne

Il contesto culturale e giuridico

In Arabia Saudita, la condizione femminile è regolata da un sistema legale che, fino a pochi anni fa, imponeva la tutela maschile in quasi ogni aspetto della vita: viaggi, lavoro, istruzione, cure mediche. Sebbene alcune riforme recenti abbiano allentato queste restrizioni, la mentalità patriarcale rimane radicata.

Il caso della guida televisiva non è un’eccezione isolata, ma un sintomo di un sistema che normalizza la subordinazione femminile. In altri paesi a maggioranza islamica, la situazione varia: in Tunisia e Marocco esistono leggi più avanzate, mentre in Afghanistan e Iran si registrano gravi regressioni.

Il paradosso del relativismo culturale

In Occidente, alcune correnti progressiste evitano di criticare apertamente queste pratiche per timore di apparire islamofobe. Tuttavia:

  • Difendere i diritti delle donne nei paesi islamici non significa attaccare una religione, ma denunciare l’abuso di potere.

  • Il rispetto per la diversità culturale non può giustificare la violazione dei diritti umani fondamentali.

  • È necessario sostenere le attiviste musulmane che chiedono una reinterpretazione della sharia compatibile con i diritti umani.

Conclusione

Il video saudita del 2016 rappresenta un caso emblematico di come la violenza domestica possa essere legittimata attraverso interpretazioni religiose e norme culturali. Denunciare questi episodi non è un atto di intolleranza, ma un dovere etico verso chi subisce discriminazioni sistemiche. Solo attraverso un confronto aperto e rispettoso sarà possibile promuovere un cambiamento reale, sostenendo chi, anche dall’interno, lotta per la dignità e la libertà delle donne.

Fonti e approfondimenti:
Ultimo aggiornamento: Giugno 2025