Il Re Leone live action: quando la critica supera la fantasia
Il remake de Il Re Leone ha generato emozione, nostalgia e—inaspettatamente—una quantità imbarazzante di interpretazioni ideologiche. Un articolo in particolare ha superato il confine tra provocazione e farsa, dipingendo la savana Disney come un palcoscenico di simbologie fasciste, patriarcali e razziste. Il tutto condito da riferimenti più ideologici che cinematografici.
Scritto per mano di Dan Hassler-Forest sul Washington Post. Si tratta di un professore, oltre che scrittore, e questo la dice lunga sullo stato attuale dei media e dell'insegnamento moderni.
Tra le migliori perle, l’autore scrive: > "Il trailer del Re Leone [...] è un doloroso promemoria dell’agenda ideologica del film: introduce a una società dove i deboli si prostrano ai forti."
Un'analisi che, a voler essere gentili, confonde mitologia, storytelling e zoologia. La Disney, ormai bersaglio fisso di chi deve mostrare doti analitiche a ogni costo, viene descritta come la mente dietro un piano di legittimazione del potere autoritario. La monarchia dei leoni, secondo questa visione, è una distopia politica: Il Re Leone promuoverebbe l’ideologia fascista sotto forma di cartone animato per bambini.
Dalla savana alla psicanalisi
Non manca la ciliegina sul grottesco: > “Il film rappresenta il potere dinastico come qualcosa di biologicamente giusto, e le gerarchie animali come simbolo delle classi sociali umane.”
Ora, che le monarchie si siano sempre ritenute superiori “per diritto divino” non è certo una novità. Ma paragonare il simbolismo fiabesco di Simba che ruggisce all’alba a un'ode al patriarcato stile Terzo Reich richiede uno slancio creativo non indifferente—e un distacco dalla realtà altrettanto notevole.
L'autore prosegue affermando che la Rupe dei Re sarebbe una "Trump Tower della savana", che Scar sarebbe una caricatura effemminata dei liberal, e che le iene rappresentano minoranze etniche marginalizzate. Tutto con una convinzione che lascia interdetti.
Interpretazioni deliranti e doppi standard
Il momento “ho perso la pazienza” arriva quando si legge che:
> “Le iene rappresentano i neri, i marroni e i disabili esclusi dalla società. Con accenti ‘da strada’ etnicamente codificati.”
Tradotto: chiunque abbia un accento non-standard è automaticamente una caricatura offensiva. Questa lettura, paradossalmente, attribuisce etichette razziali dove nel film non ce ne sono. L’effetto finale è ribaltato: non è il film a essere discriminatorio, ma la lettura iper-politicizzata che proietta categorie sociali ovunque.
E nel caso il messaggio non fosse chiaro, l’autore associa la virilità di Simba a “una glorificazione del maschio alfa”, mentre Scar diventa una rappresentazione dei “geneticamente inferiori”.
Una lezione: quando la critica si dimentica del cinema
In sintesi, accusare Il Re Leone di promuovere il fascismo tramite la struttura sociale dei leoni nella savana non è solo una forzatura: è una caricatura mal riuscita della critica cinematografica. L’ossessione per trovare simbologie politiche ovunque genera letture bizzarre, slegate da qualsiasi analisi culturale o narrativa credibile.
Il problema non è discutere i messaggi nei film. È farlo in modo così distorto da ignorare contesto, linguaggio cinematografico e, soprattutto, il buon senso.
E il dettaglio più ironico? Basta scavare negli archivi per trovare la recensione de La Repubblica del 1994 che definiva Il Re Leone un “cartone antifascista”. Testuale:
> “Un nobile monarca viene assassinato dal malvagio fratello, il quale [...] usurpa il trono con l’aiuto di orde fasciste da lui irretite con la demagogica promessa di non fare più patire loro la fame.”
Un contrasto che dimostra, meglio di mille analisi accademiche, come i bias cognitivi riescano a piegare perfino la stessa opera alla visione ideologica del momento.