Maratona di Trieste: esclusione degli atleti africani, polemica e retromarcia
La decisione degli organizzatori della Trieste Running Festival di non ingaggiare atleti africani ha scatenato un acceso dibattito tra chi ha visto nella scelta un atto di razzismo e chi, invece, ha sottolineato la volontà di contrastare lo sfruttamento degli atleti.
Ma cosa è successo davvero?
La decisione degli organizzatori: stop agli ingaggi di atleti africani
Il presidente dell’associazione Apd Miramar, Fabio Carini, ha dichiarato che, per l’edizione in questione, non sarebbero stati ingaggiati atleti africani, con l’obiettivo di contrastare il mercimonio che vede molti di loro sfruttati da manager senza scrupoli.
Secondo Carini, alcuni procuratori ingaggiano atleti africani a basso costo, li fanno gareggiare e poi li abbandonano senza risorse, senza nemmeno garantire loro un ritorno a casa. Un caso emblematico riguarda un atleta keniota che, dopo la gara, si è ritrovato senza soldi, senza un posto dove dormire e senza un biglietto per tornare in Kenya. L’associazione ha dovuto intervenire per aiutarlo.
L’intento dichiarato dagli organizzatori era quindi quello di proteggere gli atleti da queste pratiche, evitando di alimentare un sistema che li sfrutta senza garantire loro condizioni dignitose.
Accuse di razzismo e reazioni politiche
La decisione ha scatenato forti critiche, con alcuni esponenti politici che hanno accusato gli organizzatori di discriminazione razziale.
Il Partito Democratico ha parlato di epurazione nello sport, definendo la scelta vergognosa e indegna.
Il Movimento 5 Stelle, con Luigi Di Maio, ha definito la decisione una follia, sottolineando che il problema dello sfruttamento esiste, ma che non si risolve escludendo gli atleti africani.
Anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti ha condannato la scelta, affermando che non è così che si risolvono i problemi.
D’altra parte, alcuni hanno difeso la decisione, sottolineando che l’obiettivo era contrastare lo sfruttamento e non escludere gli atleti africani per motivi razziali. Infatti, gli organizzatori hanno chiarito che gli atleti africani possono partecipare, ma non verranno ingaggiati direttamente per evitare il coinvolgimento di manager poco trasparenti.
La retromarcia degli organizzatori
Dopo le polemiche, gli organizzatori hanno fatto marcia indietro, annunciando che gli atleti africani sarebbero stati invitati, ma solo attraverso procuratori che garantiscano condizioni eque.
Carini ha dichiarato: > "Ho sollevato un problema che esiste e che per ipocrisia viene spesso ignorato dagli organizzatori di eventi di running: lo sfruttamento di atleti africani da parte di procuratori che si arricchiscono alle loro spalle."
Ha poi aggiunto che la comunicazione della decisione avrebbe dovuto essere gestita meglio, e si è scusato con chi si è sentito offeso.
Lo sport e il problema dello sfruttamento degli atleti
Il caso della maratona di Trieste ha portato alla luce un problema reale: lo sfruttamento degli atleti africani nel mondo delle competizioni internazionali.
Molti di loro vengono ingaggiati a basso costo, con compensi minimi rispetto agli standard europei, e spesso non ricevono alcuna tutela. Alcuni manager li portano alle gare, li fanno competere e poi li abbandonano, lasciandoli senza risorse.
Questo fenomeno è stato denunciato più volte, ma raramente ha ricevuto l’attenzione che merita. La vicenda di Trieste ha avuto il merito di scoperchiare il vaso di Pandora, portando il tema dello sfruttamento degli atleti africani al centro del dibattito.
Conclusione: razzismo o tutela degli atleti?
La vicenda mostra come un problema reale – lo sfruttamento degli atleti africani – sia stato trasformato in un caso di razzismo, senza considerare le motivazioni degli organizzatori.
Se da un lato è fondamentale garantire pari opportunità nello sport, dall’altro è necessario contrastare le pratiche di sfruttamento, assicurando che gli atleti vengano trattati con dignità e rispetto.
La soluzione ideale sarebbe quella di regolamentare meglio gli ingaggi, garantendo che gli atleti africani possano partecipare alle competizioni senza essere sfruttati da manager senza scrupoli.