Il buco anteriore: linguaggio inclusivo o follia?

Negli ultimi anni il concetto di “linguaggio inclusivo” ha smesso di essere solo una suggestione teorica per diventare una battaglia culturale. In certi casi, però, le buone intenzioni sfociano in risultati grotteschi. Uno degli esempi più clamorosi è quello sollevato da Healthline, un portale autorevole in ambito medico, che ha proposto — in una guida indirizzata alla comunità LGBTQIA+ — l’uso dell’espressione “buco anteriore” come alternativa alla parola “vagina” per chi non si identifica con il genere assegnato alla nascita.

Niente panico: non è un cambio terminologico universale né tantomeno obbligatorio. Ma resta una scelta che solleva una domanda inquietante: fino a che punto è lecito deformare il linguaggio per inseguire ogni sfumatura identitaria?

📌 Le intenzioni: inclusione e rispetto

La proposta nasce dal desiderio di evitare disforia e disagio linguistico in chi ha un rapporto complesso con la terminologia anatomica tradizionale. È un tentativo — forse ingenuo ma non posso definirlo come vorrei — di rendere la comunicazione medica più “neutra” e accogliente. Un gesto di delicatezza? Sì, forse. Ma anche una potenziale distorsione del lessico scientifico.

Il risultato: esclusione e mancanza di rispetto verso tutte

Non ricordo bene quanta percentuale della popolazione è trans, ma si tratta di una percentuale molto bassa (almeno prima della moda folle woke e degli uomini che fanno filmati e foto nel bagno delle donne a Disneyland perché si "identificano"), quindi ha senso escludere il 99,99% delle donne dal "linguaggio inclusivo" per includere uno 0,01% di persone che VOGLIONO SENTIRSI CHIAMARE DONNE?

E questo apre la questione della mancanza di rispetto anche verso di loro: perché se si sono sottoposte alla chirurgia di riassegnazione, con tutta la sofferenza che ne deriva, per avere una vagina devono arrivare questi luminari a chiamarla BUCO ANTERIORE?

Il termine non solo è orrendo, ma è una vera e propria mancanza di rispetto verso TUTTE le donne, nate o diventate che siano. Alla faccia dell'inclusione.

💣 Le reazioni: tra ironia e allarme culturale

Molte persone hanno percepito questa scelta come una deriva ideologica, a ben ragione. Donne, femministe, medici e utenti comuni si sono chiesti:

  • È davvero utile questa modifica?

  • È rispettosa delle identità altrui, o rischia di cancellarne altre?

  • Serve davvero un termine alternativo quando chi ha effettuato transizioni spesso desidera essere chiamato per ciò che è diventato, non per ciò che aveva?

🤹 Un equilibrio difficile

Il linguaggio non è solo uno strumento: è rappresentazione della realtà. E se da un lato a volte evolve con i cambiamenti sociali, dall’altro non può trasformarsi in una forma di malleabilità estrema, dove ogni parola diventa un terreno minato.

La scelta di Healthline potrebbe anche essere stata un esperimento “una tantum”, ma ha mostrato quanto il dibattito sia fragile, e quanto sia facile passare dal rispetto alla parodia involontaria.

🧭 Conclusione: serve misura, non solo ideologia

L’inclusione è fondamentale, ma non può prescindere dalla chiarezza linguistica, dal buon senso e dal confronto reale con tutte le parti coinvolte. Le parole sono strumenti delicati: devono unire, non creare barriere semantiche inutili. E a volte, per includere davvero, basta chiamare le cose con il loro nome — con rispetto, senza estremismi.

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Fabrizio Leone
Blogger da oltre 15 anni, faccio del mio meglio per diffondere fatti e non fallacie logiche o punti di vista polarizzati e distorti. In Sociologia i media sono definiti "il quarto potere" e a ben donde: le notizie plasmano l'opinione pubblica e molti abusano di questa dinamica.