Se non sei vegano con il giusto pigmento, sei il problema: il nuovo paradosso woke

Un recente articolo pubblicato su una rivista dell'Università del Texas ha sollevato una polemica grottesca sul veganismo e la sua percezione sociale, sostenendo che la comunità vegana sia prevalentemente composta da persone bianche e che questo rappresenti un problema di esclusività.
Nel suo articolo pubblicato sul Daily Texan, una "colonnista" anche se si addice di più "peracottara"  spara a raffica contro i “vegani bianchi”, dipinti come hipster pallidi con dreadlock e quinoa bio in mano.

Più che una critica, è una caricatura che punta al pigmento prima che al pensiero. Il veganismo, sostiene l’autrice, è diventato elitario — ma ciò che sembra disturbarla non è il privilegio, bensì il colore della pelle.

📊 La realtà socio-economica

Che il veganismo industriale sia costoso non lo scopriamo oggi. Burger vegetali prezzati come filetti di manzo, formaggi senza latte che costano come lingotti d'argento, e abbigliamento cruelty-free venduto al prezzo della pelle umana (le ricordi le scarpe "vegane" vendute a 230 euro?). Ma le ragioni sono da ricercare nel mercato, non nei tratti somatici. Se ci sono meno vegani neri, è un dato — non una colpa, né un complotto.

Ma vorrei sottolineare l'intrinseco doppio razzismo che trapela dall'articolo: i bianchi sono brutti e cattivi, e questo è palesissimo, ma l'idea che tutti i neri siano degli stupidi ignoranti quindi poveri come la vogliamo considerare?

E se fosse una questione di idee e gusti? Che facciamo, obblighiamo gli africani a diventare vegani sennò sono "sottorapresentati"? Questa faccenda sottolinea inoltre l'immensa stupidità di queste correnti di pensiero: bisogna rappresentare tutti, uno undici, altrimenti è razzismo. Sarà, ma non ce lo vedo un esquimese destreggiarsi negli sport acquatici...


🍲 La cultura vegana ignorata?

L’autrice accenna a piatti vegani tradizionali di culture non occidentali (in realtà anche la dieta mediterranea ne è piena ma forse siamo troppo bianchi perché ci tenga in considerazione), indicandoli come alternative economiche ai prodotti che comprano e consumano.

Questo è un punto interessante, perché anche io ho sempre notato che i vegani preferiscono fare spaghetti di soia conditi col seitan, tofu e avocado pagandolo 15 euro invece di farsi una bella pasta aglio, olio e peperoncino spendendo 50 centesimi. Ma qui parliamo di marketing, di indottrinamento se vogliamo, cosa c'entra l'etnia in tutto questo?

Chiunque può mangiare vegano con ricette popolari, che esistono da secoli. Il fatto che la gente non lo faccia come può rendere i vegani caucasici automaticamente razzisti e suprematisti?
Questa è la follia di questi personaggi, che azzarda pure a definirsi progressista: che progresso c'è nel vedere razzismo in uno che compra gli hamburger di soia per i fatti suoi?
E lo dico io che di certo non sono né fan né amico dei vegani, per lo meno di quelli esagitati e invasati!

Fonte, in inglese ovviamente
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Fabrizio Leone
Blogger da oltre 15 anni, faccio del mio meglio per diffondere fatti e non fallacie logiche o punti di vista polarizzati e distorti. In Sociologia i media sono definiti "il quarto potere" e a ben donde: le notizie plasmano l'opinione pubblica e molti abusano di questa dinamica.