Nel suo articolo pubblicato su Taylor & Francis Online, la ricercatrice Sari M. Van Anders — già nota per teorie controverse — propone una riflessione insolita: secondo lei, il linguaggio medico usato per descrivere i fluidi vaginali rinforzerebbe stereotipi di genere e potrebbe influenzare negativamente la percezione della salute femminile. Le parole incriminate? “Muco” e “perdite” (mucous e discharge in inglese), termini ritenuti “abietti” e patologizzanti.
L’autrice si spinge oltre: suggerisce di ridefinire anche la terminologia usata per i fluidi maschili, proponendo in modo provocatorio espressioni come “penile mucous” per riferirsi al seme. Il tutto per dimostrare che la neutralità nel linguaggio scientifico non esisterebbe, ma sarebbe pervasa da influenze socio-culturali.
Come immagino tu stia già pensando è una marea di idee confuse e campate per aria, ma spiego comunque il perché:
💬 Precisione clinica e i termini per gli uomini
Chi lo ha detto che i termini usati con gli uomini siano più eleganti, non patologizzanti e sessisti?
Lo dicono loro, ma non è vero. Qui arriva il cortocircuito. Il linguaggio medico si fonda sulla chiarezza scientifica, non sull’estetica verbale.
E faccio pure degli esempi:
“Smegma” è un termine tutt’altro che poetico e si riferisce alle secrezioni del pene. E' usato anche per quelle vaginali, trasversalità che ha da sola demolito l'intero castello di carte su cui si reggeva l'accusa di sessismo nei termini medici dello "studio".
Le secrezioni maschili patologiche vengono descritte come “pus” o “secrezioni purulente”. Accostare il seme, normale funzione fisiologica e funzionamento del corpo, a escrezioni derivanti da infezioni o irritazioni non solo è sbagliato, ma è una deformazione ideologica a scopo propagandistico.
Dove sarebbe, allora, il privilegio terminologico maschile? Le parole sono dirette, forse spiacevoli, ma funzionali alla diagnosi.
📚 Quando i gender studies perdono l’orientamento
A dire il vero direi che l'orientamento non lo hanno mai avuto, ma concentriamoci su questo caso particolare. Analizzare il linguaggio è importante, ma l’approccio dello studio sembra più ideologico che metodologico. Non si mette in discussione la nomenclatura nel suo insieme, ma solo quella relativa al corpo femminile — tralasciando volutamente le equivalenze maschili.
Questo tipo di selettività è il classico modus operandi dell'estremismo "progressista" moderno: si concentrano su tutto quello che potrebbe essere lontanamente problematico per la donna, si negano tassativamente le similarità o parallelismi della controparte e si parte a strillare al sessismo.
Fra un po' uscirà uno studio che afferma che se le zanzare pungono le donne è colpa del "maschio bianco". Del resto sono arrivati a definire la menopausa "colpa degli uomini"...