Femminicidio e patriarcato: la narrazione non regge ai dati
Negli ultimi anni il termine femminicidio è diventato centrale nel dibattito pubblico e mediatico. Spesso viene associato alla teoria secondo cui la violenza contro le donne è causata da una sovrastruttura patriarcale che oggettifica la figura femminile. Tuttavia, questa spiegazione monodimensionale rischia di semplificare un fenomeno complesso e sfaccettato. Se il patriarcato è la radice di ogni forma di violenza, come si spiegano i numerosi casi in cui donne uccidono i partner per gelosia, ritorsione o conflitti relazionali? La violenza domestica non è una prerogativa maschile.
Nei paesi più paritari la violenza sulle donne è più alta: un paradosso?
Secondo i dati dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA), Danimarca, Finlandia e Svezia — ritenuti da molti modelli di emancipazione femminile e uguaglianza di genere — registrano alcune delle percentuali più alte d’Europa di donne che dichiarano di aver subito violenza fisica o sessuale a partire dai 15 anni: rispettivamente 52%, 47% e 46%. In Italia, considerata spesso “arretrata” in termini di gender equality, la percentuale scende al 27%.
Questi dati mettono in discussione la correlazione automatica tra patriarcato e violenza sulle donne, e suggeriscono che esistono dinamiche culturali, relazionali e sociali più complesse. Tra i fattori possibili: una maggiore libertà di denunciare, una definizione più ampia di “violenza” nei sondaggi, o una maggiore tensione generata da modelli relazionali in rapido cambiamento.
Violenza percepita e interpretazione dei dati: serve cautela, non giustificazioni
C’è chi tenta di spiegare l’elevata incidenza della violenza di genere nei Paesi più paritari con un argomento ricorrente: le donne denunciano di più perché sono più consapevoli dei propri diritti. Una tesi che, per quanto plausibile sul piano sociologico, non è suffragata da dati precisi in grado di quantificare realmente quanto incida sulla discrepanza percentuale. È vero, una maggiore propensione alla denuncia può influire sui numeri, ma non può da sola giustificare il fatto che Paesi come la Danimarca superino il 50% di donne che dichiarano esperienze di violenza, a fronte di un’Italia ferma al 27%.
Sarebbe come dire che il problema non esiste davvero, è solo “emerso meglio”. Ma se davvero quelle cifre riflettessero solo una differenza nella percezione o nella disponibilità a rispondere a un sondaggio, allora dovremmo accettare che la raccolta di dati internazionali è priva di ogni validità comparativa — un’assunzione piuttosto azzardata. Invece, la domanda corretta da porsi è se l’approccio ideologico dominante che attribuisce alla “struttura patriarcale” la radice della violenza sia davvero lo strumento più utile per leggere la realtà.
Anche gli uomini subiscono violenza: un dato spesso ignorato
Un ulteriore elemento da considerare è la sottovalutazione della violenza contro gli uomini. In Italia, i dati ISTAT e altri studi segnalano che anche gli uomini sono vittime di violenza, anche sessuale, ma raramente se ne parla. Parlare esclusivamente di “violenza maschile sulle donne” crea una narrativa sbilanciata e ideologica che rende invisibili molte vittime reali e ostacola un confronto aperto.
Strategie concrete oltre gli slogan ideologici
Per affrontare seriamente il problema della violenza di genere, è necessario uscire dalla logica del colpevole universale e puntare su politiche basate su dati concreti, non su retorica. Serve investire in educazione relazionale, ascolto attivo delle vittime, strutture di supporto e centri anti-violenza aperti a tutti, indipendentemente dal genere. Solo riconoscendo che la violenza è un problema umano e non di genere si può pensare a soluzioni efficaci, inclusive e durature.
Huffington post