L’aggressione e le condizioni della vittima
Secondo le ricostruzioni, uno degli attivisti ha colpito con un calcio alla schiena un uomo di 66 anni, intento a liberare una lepre dalla rete. Il colpo ha provocato la frattura di una vertebra e lesioni permanenti, con una prognosi superiore ai 40 giorni. L’uomo è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico e ha rischiato la paralisi e ha dovuto affrontare un lungo percorso di recupero.
Gli sviluppi giudiziari
Dopo l’aggressione, gli attivisti si sono dileguati nei campi, ma le indagini hanno portato all’identificazione di quattro imputati: Diego La Rocca, Cristina Giudice, Roberto Serafin e Michael Leone, quest’ultimo accusato di aver sferrato il calcio che ha causato le lesioni. Il processo è iniziato nel 2021 e, nel 2022, il pubblico ministero ha chiesto condanne fino a un anno e due mesi di reclusione.
Secondo il pubblico ministero, si è trattato di una vera e propria azione squadrista, motivata da un’ideologia animalista estremista e priva di giustificazioni, considerando che l’attività dei cacciatori era pienamente legale e non implicava l’abbattimento di animali.
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Immagine presa in prestito da Laydo |
Quando l’attivismo oltrepassa il limite
Il caso di Marcaria ha sollevato interrogativi urgenti sulla deriva violenta di una parte dell’animalismo militante. Gli episodi di aggressione contro allevatori, ricercatori e cacciatori non sono isolati: si moltiplicano le testimonianze di minacce, danneggiamenti a impianti, sabotaggi e insulti nei confronti di chi opera nel rispetto della normativa vigente.
Quel che preoccupa è l’apparente assenza di una presa di posizione chiara da parte delle principali organizzazioni animaliste, che spesso evitano di condannare pubblicamente questi episodi, alimentando confusione tra impegno civile e fanatismo.
Il silenzio dei media e della politica
Nonostante la gravità dell’episodio, la vicenda ha ricevuto una copertura mediatica parziale. Alcuni osservatori parlano apertamente di bias selettivo, sottolineando che, se le parti fossero state invertite, l’attenzione pubblica sarebbe stata molto maggiore. A ciò si aggiunge la lentezza del sistema legislativo nel riconoscere e contrastare forme di violenza ideologica mascherate da attivismo.
Conclusione
Il caso di Marcaria rappresenta un campanello d’allarme. Difendere gli animali è un valore importante, ma non può mai diventare un alibi per aggredire chi la pensa diversamente. Occorre proteggere la libertà di espressione e il rispetto della legge, ponendo un argine alle derive violente che nulla hanno a che vedere con l’empatia o l’etica.
Una sentenza attesa, ma senza esito pubblico
Secondo quanto riportato da alcune fonti locali, la sentenza definitiva del processo per l’aggressione al cacciatore di Marcaria era attesa nel corso del 2023. Tuttavia, a oggi, non risultano pubblicazioni ufficiali che confermino l’esito del procedimento. È possibile che il caso si sia concluso con una sentenza a bassa risonanza mediatica, o che siano intervenuti rinvii procedurali non documentati pubblicamente. In assenza di aggiornamenti affidabili, resta fondamentale riportare i fatti con equilibrio, sottolineando i gravi rischi legati all’attivismo violento e auspicando maggiore trasparenza anche sul piano istituzionale.
Fonti e approfondimenti:
Cacciapassione Notizia sull'identificazione e rinvio a giudizio degli aggressori
Voce di Mantova Parla dell'accaduto