Laura Boldrini e gli insulti sui social: quando la denuncia è l’unico modo per fermare il bullismo digitale
Che Laura Boldrini non mi sia mai piaciuta non è un mistero. Le sue posizioni sulla lingua italiana “sessista”, l’introduzione di termini come ministra e sindaca, e certe dichiarazioni ambigue sull’estremismo islamico — come quando lo definì “uno stile di vita che presto sarà nostro” indossando un velo — mi sono sempre sembrate iniziative demagogiche e prive di sostanza concreta. Un modo per distrarre l’opinione pubblica con battaglie simboliche, mentre i problemi reali restano irrisolti.
Detto ciò, tra la critica e l’odio cieco c’è un abisso. E purtroppo questo molti utenti sui social lo ignorano completamente.La pubblicazione degli insulti: un gesto legittimo
Boldrini ha recentemente pubblicato una selezione di commenti d’odio ricevuti su Facebook, mostrando il livello di aggressività e volgarità che le viene rivolto quotidianamente. Una scelta che, al netto della possibile strumentalizzazione politica che ne ha fatto, considero giusta e necessaria. Esporre pubblicamente certi comportamenti è l’unico modo per contrastare il bullismo digitale e l’hate speech sui social network.
Viviamo in un’epoca in cui l’inciviltà online è diventata la norma, e chiunque osi esporsi su temi divisivi viene travolto da ondate di insulti, minacce e diffamazioni. Lo dico per esperienza personale: trattando argomenti controversi, ho ricevuto migliaia di messaggi offensivi, centinaia di minacce di morte e altrettante di aggressione fisica. E non sono una donna, cosa che confuta la retorica de "Uomini contro le donne"
La retorica polarizzata: uomini contro donne?
Boldrini ha affermato che “le vittime sono donne”. Ma questa è una semplificazione fuorviante. Gli attacchi online colpiscono chiunque si esponga, indipendentemente dal genere. Anzi, nel mio caso, molte delle aggressioni verbali sono arrivate proprio da donne. La narrazione “uomini contro donne” è una retorica divisiva, utile solo a chi vuole alimentare lo scontro ideologico.
La verità è che il problema è culturale e trasversale: riguarda l’educazione digitale, il rispetto reciproco e la responsabilità individuale. Ridurre tutto a una guerra tra sessi è una scorciatoia politica che non aiuta nessuno.
Combattere i bulli digitali: l’unica strada è l’esposizione
Chi insulta sui social si comporta come il bullo di scuola: attacca chi percepisce come vulnerabile, convinto di restare impunito. Ma quando viene esposto pubblicamente, quando il suo nome e il suo volto vengono associati a parole vergognose, spesso si ritrae e sparisce.
La pubblicazione degli insulti non è vendetta, ma un atto di autodifesa e di responsabilizzazione collettiva. Serve a mostrare quanto in basso può scendere il dibattito pubblico e a ricordare che le parole hanno conseguenze, anche se scritte dietro uno schermo.
Ultimo aggiornamento: Giugno 2025