Nel 2016 il progetto Parole d’amore, ideato da Pietro Baroni e Luz, cercava di denunciare il sessismo nel linguaggio quotidiano attraverso un video virale. Attori e attrici recitavano frasi comuni, presentate come esempi di discriminazione di genere. Alcune erano effettivamente gravi, altre decisamente discutibili.
A distanza di anni, il dibattito sul linguaggio sessista è più acceso che mai. Ma cosa è cambiato davvero? E le nuove campagne educative riescono a evitare gli errori del passato o ne ripropongono di nuovi?
“Parole d’amore”: buone intenzioni, esecuzione discutibile
Il progetto nasceva con l’intento di sensibilizzare sul sessismo linguistico nel linguaggio comune, ma finiva per includere frasi come:
- “Che c’è per cena?” 
- “Ma che bella bambina, sembri una principessa!” 
- “Signorina, ci porterebbe un caffè?” 
Progetti recenti: più metodo, ma anche nuove criticità
Negli ultimi anni sono emerse iniziative più strutturate nel contrasto al sessismo linguistico, con approcci multidisciplinari e finalità educative. Tra queste:
- JUSTEqual (Università di Torino) analizza il linguaggio giuridico tramite sistemi di intelligenza artificiale, allo scopo di identificare bias di genere impliciti nei testi normativi e nelle sentenze. - Criticità: l’approccio tecnico-giuridico, sebbene rigoroso, rischia di rimanere confinato in ambiti specialistici, poco accessibili al cittadino comune. Inoltre, l’uso dell’IA in ambiti normativi solleva interrogativi etici su interpretazione, contesto e responsabilità. 
 
- Play for Your Rights! (progetto Erasmus+) punta sull’educazione informale contro il sessismo tra adolescenti, attraverso giochi di ruolo, urban game e laboratori esperienziali nelle scuole. - Criticità: l’approccio ludico può portare a una semplificazione eccessiva di fenomeni complessi come l'oppressione sistemica o la violenza simbolica. C'è anche il rischio che alcuni messaggi vengano percepiti come prescrittivi o ideologicamente orientati, generando resistenze piuttosto che consapevolezza. 
 
- Le proposte linguistiche inclusive portate avanti da figure come Cecilia Robustelli o dalla storica A. Sabatini promuovono l’uso sistematico di forme femminili nei ruoli professionali e istituzionali, come “ministra”, “avvocata”, “ingegnera”. - Criticità: sebbene abbiano basi solide sul piano linguistico e simbolico, tali proposte incontrano spesso resistenze culturali e politiche, e in alcuni casi rischiano di trasformarsi in imposizioni stilistiche piuttosto che in scelte condivise. Il dibattito tende a polarizzarsi, riducendo le possibilità di dialogo costruttivo. 
 
In sintesi, queste campagne e studi recenti rappresentano un avanzamento in termini di metodo e obiettivi, ma evidenziano anche nuove criticità legate all’efficacia comunicativa, all’accessibilità e al rischio di radicalizzazione. La lotta al sessismo nel linguaggio richiede rigore, ma anche equilibrio e attenzione ai contesti reali in cui le parole vengono usate.
Il nodo irrisolto: quando il femminismo diventa prescrittivo
Il problema non è la lotta al sessismo, ma il modo in cui viene comunicata. Quando si arriva a considerare sessista una domanda come “che c’è per pranzo?”, si rischia di:
- Screditare le battaglie femministe autentiche, che riguardano violenza, disparità economiche e diritti negati. 
- Svalutare il ruolo delle casalinghe, presentandolo come una condizione di sottomissione anziché una scelta legittima. 
- Creare polarizzazione, allontanando chi vorrebbe sostenere la causa ma non si riconosce in certe esasperazioni. 
Conclusione
Il confronto tra Parole d’amore e le campagne più recenti mostra che il dibattito sul linguaggio e il sessismo è ancora aperto e complesso. Serve rigore, equilibrio e capacità di distinguere tra ciò che è davvero discriminatorio e ciò che non lo è. Solo così il femminismo potrà continuare a essere una forza di cambiamento, e non una caricatura di sé stesso.

