Mattone Supreme e nastro Balenciaga: il lusso umilia il buonsenso (e finisce in bancarotta)
A ben vedere certi fenomeni, viene da pensare che il genere umano sia sopravvalutato. Alcuni individui sembrano sopravvivere solo grazie alla società: in natura, durerebbero due minuti. Parliamo di chi ha acquistato il celebre mattone Supreme a 45 euro. Un mattone. Di terracotta. Venduto come oggetto di culto.
Quando lo stesso prodotto costa 50 centesimi in un magazzino edile, è difficile trovare giustificazioni. Eppure, nel 2016, centinaia di persone hanno fatto la fila per comprarlo, alcuni lo hanno persino incastonato nella porta di casa. Il prezzo? 30 sterline. Il valore? Solo il nome stampato sopra.
🧱 Il culto del brand: quando il logo vale più dell’oggetto
Finché si trattava di vestiti, qualcuno poteva giustificare il prezzo con la “qualità dei materiali”, anche se qualche coraggioso ha sempre comprato vestiti senza marca pagando infinitamente meno. Ma qui non c’è design, non c’è sartoria, non c’è funzionalità. Solo branding estremo. E la conferma che l’hype marketing può trasformare qualsiasi oggetto in status symbol.
📦 Casi simili: quando il lusso diventa provocazione
1. Balenciaga – Tape Bracelet (2024) Un rotolo di nastro adesivo, venduto come bracciale da passerella a 3.800 euro. Nessuna funzione, nessun design innovativo. Solo provocazione. Presentato durante la sfilata Autunno/Inverno, ha scatenato polemiche e meme, diventando virale per la sua inutilità apparente.
2. Hermès – Cuffie wireless da 15.000 dollari: Finiture ispirate al modello Kelly, audio personalizzato “Hermès sound”, e un prezzo che supera quello di un impianto hi-fi professionale. Parte di una collezione che include anche canoe, voliere e jukebox su misura per clienti eccentrici.
3. Louis Vuitton – Auricolari e ping pong set: Auricolari wireless logati venduti a 1.000–2.000 euro, e un set da ping pong in pelle a 2.000 euro. Per chi vuole giocare con stile, ma senza senso pratico.
4. Gucci – Smart ring Oura: Un anello che monitora sonno e battito cardiaco, venduto a 950 euro. Tecnologia già disponibile a 100 euro, ma qui conta il logo. E la confezione.
5. Chanel – Borse a 10.000 euro: La Classic Flap è passata da 2.800 a oltre 10.000 euro in pochi anni. Non per materiali o lavorazione, ma per posizionamento strategico e scarsità indotta.
🔒 Scarsità indotta nella moda: il trucco che alimenta il desiderio
La scarsità indotta nella moda è una strategia di marketing che consiste nel creare artificialmente una disponibilità limitata di un prodotto, anche quando la produzione potrebbe soddisfare la domanda. Il meccanismo è semplice: meno ce n’è, più lo voglio. Brand come Supreme, Hermès e Balenciaga ne hanno fatto un pilastro, lanciando collezioni in edizione limitata, drop esclusivi e accessori introvabili. Questo genera urgenza d’acquisto, alimenta la FOMO (Fear of Missing Out) e trasforma oggetti banali in status symbol. Il paradosso? La scarsità non è reale, ma costruita. E il valore percepito non dipende dalla qualità, bensì dalla difficoltà nel reperirlo.
In molti casi documentati, brand come Louis Vuitton sono stati sorpresi a distruggere borse e accessori invenduti — nuovi di zecca ma tagliati e gettati nei cassonetti. Lo scopo? Mantenere l'aura esclusiva del marchio attraverso la scarsità indotta. > Ma in un’epoca segnata dalla crisi energetica globale, dal cambiamento climatico e dalla crescente consapevolezza ambientale, comportamenti simili appaiono sempre più inaccettabili. Sprecare risorse per preservare il valore percepito di un marchio è un lusso che il pianeta non può più permettersi.
🔥 Cos’è davvero l’hype marketing?
L’hype marketing è una strategia che gonfia l’attesa e crea desiderio attorno a un prodotto, spesso inutile o sovrapprezzato. Funziona grazie a:
Scarsità percepita: pochi pezzi, venduti in edizione limitata
FOMO (Fear of Missing Out): paura di restare fuori dal trend
Social proof: se lo comprano tutti, deve valere qualcosa
Storytelling visivo: teaser, influencer, video emozionali
Prezzo come status: più costa, più “vale” — anche se non serve a nulla
Il risultato? Oggetti banali diventano feticci culturali, e chi li possiede si sente parte di una tribù esclusiva. Anche se quella tribù gira con un mattone in tasca.
🧨 Norme anti-distruzione: quando la legge prova a frenare lo spreco del lusso
Nel tentativo di arginare lo spreco sistemico nella moda, la Francia ha introdotto nel 2022 la legge AGEC (Anti-Gaspillage pour une Économie Circulaire), che proibisce la distruzione dei beni invenduti non alimentari, inclusi abiti, accessori e prodotti di lusso. I marchi sono obbligati a donare, riciclare o rivendere gli articoli rimasti in magazzino, pena sanzioni fino a 15.000 euro. L’obiettivo è chiaro: evitare che capi perfettamente nuovi vengano distrutti solo per mantenere l’aura esclusiva del brand.
Tuttavia, come rivelato da un’inchiesta di Disclose, alcuni marchi hanno trasformato la legge in un vantaggio fiscale: donando i prodotti a centri di riciclo o associazioni, ricevono crediti d’imposta fino al 60% del valore stimato (valore che loro stessi appioppano arbitrariamente NDR). Broker specializzati gestiscono interi camion di rimanenze, monetizzando lo spreco in modo paradossale. Il risultato? La legge, nata per combattere la sovrapproduzione, rischia di incentivarla indirettamente.
📉 Crisi del lusso e fine della classe media: il boomerang del marketing estremo
Secondo Il Fatto Quotidiano, il 2025 ha segnato un punto di rottura per il settore moda: migliaia di aziende italiane hanno chiuso, i terzisti sono allo stremo e le ore di cassa integrazione sono aumentate del 200%. Il motivo? Una politica di rincari aggressiva che ha allontanato sia i clienti aspirazionali che i super ricchi. La classe media occidentale, un tempo motore dei consumi di lusso, è in declino: il potere d’acquisto si è ridotto, le priorità sono cambiate, e la gente non è più disposta a sperperare denaro per un marchio avido. La moda, nel tentativo di mantenere l’esclusività, ha tirato troppo la corda. E ora rischia di spezzarla.
🎯 Il paradosso sociale
Chi compra questi oggetti spesso è lo stesso che pratica bullismo scolastico verso chi non veste alla moda, e per moda si intende costoso. E se la loro identità si basa su una scritta o un prezzo, forse il problema non è il mattone o la maglia — ma il vuoto che cerca di riempire.
Fonti e approfondimenti:
Hostess promoter: articolo sul hype marketing
Factory Communication: ulteriore approfondimento sul hype
ADL Mag: articolo sulle follie del lusso
Il Fatto Quotidiano: articolo sulla crisi della moda
Sfridoo: articolo sulla legge anti distruzione francese