Introduzione: un caso simbolico della cultura digitale
Il caso di Tiziana Cantone è uno dei più emblematici nella storia italiana recente per quanto riguarda la violazione della privacy, la viralità incontrollata e le conseguenze psicologiche della gogna mediatica online. Nel 2015, Tiziana, una giovane donna di Casalnuovo di Napoli, condivise volontariamente alcuni video amatoriali di natura sessuale con un ristretto gruppo di persone. Uno di questi video, contenente la frase “Stai facendo il video? Bravo!”, venne caricato su siti pornografici e divenne virale, trasformandosi in un meme riprodotto su gadget, magliette e persino citato in contenuti musicali.
La diffusione incontrollata dei video portò Tiziana a perdere il lavoro, a essere riconosciuta per strada e a subire un isolamento sociale crescente. Tentò di ottenere la rimozione dei contenuti attraverso una causa legale, ma per via di errori procedurali fu condannata al pagamento di oltre 20.000 euro di spese processuali. Nonostante il cambio di cognome e vari trasferimenti, non riuscì a sfuggire all’attenzione pubblica. La pressione mediatica, l’umiliazione e la solitudine la portarono a uno stato di profonda depressione, tentando più volte il suicidio che tragicamente è riuscito il 13 settembre 2016 nello scantinato della zia in cui aveva cercato rifugio.
La sua storia ha avuto un impatto profondo sull’opinione pubblica e ha contribuito all’approvazione del cosiddetto Codice Rosso, con un emendamento specifico sul revenge porn. Tuttavia, il modo in cui la vicenda è stata raccontata e strumentalizzata ha sollevato interrogativi importanti sulla responsabilità dei media, sull’etica dell’informazione e sulla cultura digitale contemporanea.
La gogna mediatica colpisce anche il fidanzato
Anche il fidanzato di Tiziana è stato coinvolto indirettamente nella narrazione mediatica. Alcuni articoli lo hanno descritto in modo sprezzante, riprendendo un suo commento su Facebook in cui criticava la diffusione dei video e ne contestava l’autenticità. Questo dimostra come anche figure secondarie possano diventare bersaglio di una gogna mediatica digitale, senza alcuna tutela.
Strumentalizzazioni ideologiche e falsi bersagli
Oltre alla stigmatizzazione subita da Tiziana, si è sviluppata una corrente ideologica che ha strumentalizzato la sua tragedia per accusare genericamente “gli uomini”, cresciuta a dismisura dopo la sua morte. Tuttavia, secondo diverse fonti, fu la giornalista Selvaggia Lucarelli a rilanciare il video, contribuendo in modo decisivo alla sua viralità. Inoltre, molte delle persone che hanno isolato Tiziana nella vita reale erano amiche e conoscenti di sesso femminile. La narrazione che punta il dito esclusivamente contro gli uomini è quindi ideologicamente distorta e fattualmente errata.
Giustizia digitale e limiti del sistema
La vicenda legale ha aggiunto ulteriore peso alla sua storia: secondo la sentenza, Tiziana era consenziente alla produzione dei video, e alcune società citate in giudizio avevano già provveduto alla rimozione del materiale. La richiesta di rimozione si è conclusa con una condanna al pagamento delle spese processuali, aggravando la sua situazione economica e psicologica.
Lezione sociale e culturale
Il caso ha mostrato come la viralità online possa avere impatti psicologici devastanti, e come la responsabilità non sia solo individuale, ma anche sistemica. La semplificazione del dibattito pubblico in slogan come “patriarcato” o “sessismo” ha oscurato la complessità del contesto, impedendo una riflessione seria e inclusiva.
Le indagini per istigazione al suicidio
Subito dopo la morte di Tiziana Cantone, avvenuta il 13 settembre 2016, la Procura di Napoli Nord aprì un fascicolo per istigazione al suicidio. Gli inquirenti analizzarono la pashmina con cui la donna si era impiccata, sollevando dubbi sulla sua capacità di reggere il peso corporeo e sulla compatibilità con il solco di 2,5 cm riscontrato sul collo. Fu ascoltato l’ex fidanzato Sergio Di Palo, indagato anche per accesso abusivo a dispositivi informatici, falso e calunnia, poiché avrebbe convinto Tiziana a sporgere denuncia contro cinque ragazzi, attribuendo loro la responsabilità della diffusione dei video. Furono esaminati anche i dispositivi elettronici della donna, ma nessuno venne iscritto nel registro degli indagati. L’inchiesta fu successivamente archiviata, non avendo prodotto elementi sufficienti a sostenere l’ipotesi di reato.
Archiviazione definitiva: il caso è stato chiuso nel 2024
Nel 2020, la madre di Tiziana, Maria Teresa Giglio, presentò istanza per la riesumazione del corpo e per ulteriori accertamenti sui dispositivi digitali della figlia, rilevando anomalie come la cancellazione di dati, l’inserimento postumo di fotografie e l’assenza di cronologie e contatti. La Procura di Napoli Nord riaprì le indagini, ipotizzando omicidio e frode processuale, e rilevò tracce di DNA maschile sulla sciarpa utilizzata per il suicidio.
Tuttavia, le nuove indagini condotte dal PM Giovanni Corona, inclusa la riesumazione del corpo e l’analisi dei dispositivi sequestrati, non hanno fatto emergere elementi sufficienti per sostenere una tesi diversa dal suicidio. Nel gennaio 2024, il fascicolo è stato ufficialmente archiviato, confermando la causa della morte come suicidio per impiccagione.
Conclusione: verso una cultura del rispetto
Oggi, il caso Cantone è un riferimento imprescindibile per chi si occupa di educazione digitale, etica dell’informazione e responsabilità mediatica. Serve un approccio più maturo, che superi le polarizzazioni ideologiche e promuova consapevolezza, riforme concrete e una cultura del rispetto.
Fonti e approfondimenti:
Wikipedia: riassunto della storia di Tiziana Cantone
Today.it: spiega il motivo della chiusura delle indagini per omicidio
Ultimo aggiornamento: Luglio 2025