Ultimo aggiornamento: Luglio 2025
Negli ultimi anni abbiamo visto un vero e proprio fiorire di nuovi "generi". Termini come gender fluid, non binario, pansexual e asessuale sono solo alcuni esempi, spesso sentiamo perfino dire che "i generi sono infiniti". Ma cosa sta alimentando questo fenomeno? Sarà il "wokeismo" che influenza i giovani, oppure sono i giovani che hanno creato il wokeismo?
Perché al di là delle spiegazioni ideologiche o culturali, esiste una possibilità che raramente viene discussa: e se parte di questa trasformazione fosse anche biologica? E se l’ambiente, l’inquinamento e la pressione dei social media stessero contribuendo a ridefinire — o a confondere — il nostro rapporto con l’identità?
🧪 Inquinamento e ormoni: il ruolo degli interferenti endocrini
Negli ultimi anni, numerosi studi scientifici hanno evidenziato la presenza di microplastiche nel sangue umano, nel latte materno e persino nella placenta. Queste sostanze, insieme a ftalati, bisfenolo A (BPA) e altri composti chimici, sono noti come interferenti endocrini: molecole in grado di alterare il funzionamento del sistema ormonale.
Effetti documentati:
Riduzione dei livelli di testosterone e fertilità maschile
Alterazioni nello sviluppo sessuale
Squilibri ormonali in età puberale e adulta
Aumento di disturbi legati all’identità corporea
L’endocrinologa Evanthia Diamanti-Kandarakis, membro dell’Endocrine Society, ha dichiarato:
“Gli interferenti endocrini hanno effetti documentati su riproduzione, sviluppo sessuale, neuroendocrinologia e metabolismo. I dati da modelli animali, osservazioni cliniche e studi epidemiologici convergono nel considerarli una minaccia reale per la salute pubblica.” — Endocrine Society - Scientific Statement on EDCS
Anche la biologa Barbara Demeneix, del CNRS di Parigi, ha sottolineato:
“L’esposizione precoce agli interferenti endocrini può alterare lo sviluppo cerebrale e ormonale, con effetti a lungo termine sul comportamento e sull’identità sessuale.”
📱 L’identità come performance: l’impatto dei social media
Parallelamente, viviamo in un’epoca in cui l’identità è diventata una narrazione pubblica e continua. I social media spingono a definire, mostrare e differenziare costantemente chi siamo. In questo contesto, l’unicità diventa una valuta sociale: più sei “diverso”, più sei visibile.
Meccanismi in gioco:
Ricerca di validazione attraverso etichette identitarie
Costruzione di sé tramite filtri, bio e hashtag
Pressione a “definirsi” per esistere online
“I social media sono diventati uno specchio digitale per lo sviluppo dell’identità. Offrono uno spazio per l’esplorazione del sé, ma anche per la distorsione e la dipendenza dal feedback esterno.”
E secondo Maryann Tovar, coautrice del volume Teens, Screens, and Social Connection:
“I social media aggiungono una nuova fase al processo di formazione dell’identità. Offrono opportunità di esplorazione, ma anche rischi legati all’autenticità e alla pressione sociale.”
🧠 Biologia, cultura o reazione?
Forse non stiamo assistendo a una rivoluzione dell’identità, ma a una reazione. Una reazione a un mondo che ci intossica lentamente — nel corpo e nella mente. Dove la plastica ci entra nel sangue e i filtri ci entrano nell’autostima.
In questo scenario, la frammentazione dell’identità potrebbe essere una risposta adattiva: un modo per ritagliarsi uno spazio, per sentirsi visti, per non scomparire nel rumore. Se ci fai caso molti personaggi con "pronomi" hanno vistosi tatuaggi, piercing, capelli blu o di altri colori assurdi e che spiccano. Tutti comportamenti che urlano "notami" e "sono diverso".
🧭 Conclusione: "identità", ambiente e cultura — un intreccio da decifrare
L’"identità" non nasce nel vuoto. È il risultato di un intreccio complesso tra i fattori che abbiamo appena visto. Oggi viviamo in un mondo in cui gli ormoni sono alterati da sostanze inquinanti invisibili, e la percezione di sé è modellata da algoritmi e filtri.
Forse i giovani sono più colpiti in quanto non hanno avuto il tempo di svilupparsi prima di essere intaccati da questi inquinanti, per questo la differenza generazionale abissale fra la Gen Z e noialtri.
Non si tratta di negare la legittimità delle esperienze individuali, né di ridicolizzare chi si riconosce in nuove definizioni. Ma forse è il momento di chiederci se la proliferazione di etichette sia una conquista o un sintomo. Se stiamo davvero esplorando nuove forme di libertà, o se stiamo reagendo — biologicamente e culturalmente — a un mondo che ci disorienta.
Senza temere di essere additati come cattobigotti nel mentre che si cerca di rispondere a dubbi e domande.