Studenti dell'università di Manchester sanciscono che gli applausi sono problematici

🧠 Applaudire è problematico? Il caso Manchester e l’inclusione paradossale

Nel 2018, l’Unione degli Studenti dell’Università di Manchester ha votato una mozione per sostituire l’applauso udibile con il gesto della “jazz hand”, ovvero l’applauso silenzioso della lingua dei segni britannica (BSL), in cui si agitano le mani in aria.

Motivazione ufficiale? Rendere gli eventi democratici più accessibili a studenti con autismo, disturbi sensoriali o sordità. Il gesto è stato incoraggiato — non imposto — durante le riunioni politiche interne, non nei concerti o nelle attività culturali.

🔥 Inclusione o delirio?

La notizia ha fatto il giro del mondo, generando reazioni tra il sarcastico e l’allarmato. La mia personale reazione, arrivata in tempo record, è stata definire tale trovata come “una boiata stratosferica”, parole che potrebbero benissimo essere sufficienti a concludere questo articolo, ma voglio approfondire a dovere cosa possa giustificare l’abolizione di un gesto millenario.

La paura dei rumori? Da quanto persone che vivono in una città, Manchester conta più di 550 mila abitanti, sono così suscettibili ai rumori forti? Inoltre sono oltre 2000 anni che si applaude, i romani applaudivano i gladiatori ad esempio, ma adesso arrivano questi studenti e improvvisamente gli applausi sono problematici?

E se qualcuno soffrisse di kinesiofobia — paura del movimento — la jazz hand potrebbe risultare altrettanto disturbante. A questo punto, vietiamo anche il respiro sincronizzato?


Fotografia di un gruppo di ballerini in posa che fanno la "jazz hand"

🙈 Inclusione a senso unico: e i ciechi?

D'accordo, non facciamo rumore. Ma questo introduce un cortocircuito evidente: e i ciechi?

Se il gesto dell’approvazione diventa esclusivamente visivo, chi non può vederlo come dovrebbe percepirlo? In nome dell’inclusione, si è creata una nuova esclusione. Si è pensato al rumore, ma si è ignorata la mancanza di accesso al segnale visivo. E allora, quale sarebbe la soluzione “non disturbante”? Un applauso silenzioso, invisibile, immobile? A quel punto, sarebbe davvero meglio non manifestare nulla.

Inclusione non significa uniformare tutto al minimo comune denominatore percettivo, ma trovare forme plurali di partecipazione, dove ognuno può ricevere e restituire consenso. Se applaudire è rumore, e jazz-hand è immagine, che alternativa resta per chi non sente né vede? Forse, più che gesti da vietare o reinventare, serve pensiero progettuale. E magari, un po’ di buon senso.

📣 Il contagio anglosassone

Nonostante la palese e innegabile inutilità di una idea simile, tale pratica si è diffusa in altre università anglosassoni, dove chi parla al microfono durante le conferenze si ritrova a dover spiegare ogni cinque minuti:

“Può sembrare che nessuno concordi con me, ma stanno facendo la jazz hand.”

Trasforma delle conferenze in tristi spettacoli di insicurezze profonde e idee balorde. E lo schiocco delle dita, proposto come alternativa, è stato scartato perché... rumoroso anch'esso.

Eppure, nonostante tutto, in America il gesto è stato normalizzato in ambienti universitari progressisti, dove viene incoraggiato per evitare stimoli sonori improvvisi che potrebbero disturbare persone con autismo, disturbi sensoriali o ansia sociale.

Alcuni eventi pubblici e conferenze femministe hanno esplicitamente richiesto l’uso della jazz hand al posto dell’applauso, come riportato già nel 2015 — e nel 2025, la pratica è entrata nel vocabolario inclusivo di molte organizzazioni.

🧭 Il punto non è il gesto. È il principio.

L’inclusione è un valore. Ad esempio rendere le città vivibili per le persone in carrozzina è un dovere sacrosanto. Ma quando si trasforma in ossessione, rischia di diventare una caricatura di sé stessa. Non si tratta di ignorare chi ha sensibilità particolari, ma di chiedersi se la soluzione sia davvero il silenzio.

Perché applaudire non è solo rumore. È partecipazione. È riconoscimento. È cultura.


📚 Fonti e approfondimenti

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Fabrizio Leone
Blogger da oltre 15 anni, faccio del mio meglio per diffondere fatti e non fallacie logiche o punti di vista polarizzati e distorti. In Sociologia i media sono definiti "il quarto potere" e a ben donde: le notizie plasmano l'opinione pubblica e molti abusano di questa dinamica.