Le emoji sono misogine?

Dalla campagna “Like a Girl” al femminismo che vede sessismo anche nelle icone — e ci crede davvero

Un tempo erano solo “faccine”: il riflesso digitale di un’emozione, un’idea, uno stato d’animo. Ma oggi, secondo un’inchiesta sponsorizzata dalla campagna Like a Girl, le emoji sono diventate misogine. Non perché insultano le donne, ma perché non rappresentano adeguatamente le loro interessi, passioni e professioni.

Una ragazza vuole essere avvocato? L’emoji ha il taglio di capelli sbagliato. Una studentessa fa basket? Nessuna faccina lo mostra. Risultato: crollo dell’autostima tra le adolescenti, a causa della faccina sbagliata.

Sembra una parodia. Ma è una campagna sponsorizzata, amplificata dai media, diffusa con toni serissimi. E qui nasce il cortocircuito logico.

🤹‍♀️ Il paradosso del femminismo visuale: ecco cosa non torna

Nel video promozionale, una carrellata di teenager denuncia il sessismo delle emoji. Mancano poliziotte, ingegnere, cicliste, scalatrici. E fin qui, si potrebbe anche discutere. Ma per mostrare l'evoluzione proposta, si introducono emoji “femminili” con tagli di capelli lunghi, acconciature curate e pose delicate.

La domanda è semplice: Non era proprio quel tipo di rappresentazione a essere considerata, fino a due settimane fa, uno stereotipo sessista e patriarcale? Lo diceva Laurie Penny (già nota in questo sito per le sparate sui "robot simbolo di oppressione femminile) in un celebre articolo: “I capelli corti per le donne sono una dichiarazione politica. Il patriarcato teme le forbici.” Ora le forbici sembrano archiviate. O forse stavolta le acconciature non sono oppressive… sono emancipatorie.

Frame del filmato che indica come sessiste le emoji. Perché non mostrano facce con i capelli lunghi. Tratto definito sessista dalla femminista Laurie Penny

📉 Quando l’emoji diventa il centro del mondo interiore

Secondo la campagna, “una ragazza su due prova un calo di autostima durante la pubertà”. Dato preoccupante. La causa? La scarsa rappresentazione negli emoji. Il rimedio? Disegnarne di più, ma con capelli femminili.

Sembra satira, ma è realtà. In un momento storico dove l’educazione emotiva, la salute mentale e l'identità digitale meriterebbero una riflessione profonda, si sceglie di incarnare il disagio adolescenziale in un problema grafico da tastiera.

Secondo questi "luminari" del nostro tempo prima delle emoji le ragazze godevano di autostima perfetta. Negli anni '90 infatti non esisteva l'anoressia, il bullismo (in parte deriva da scarsa autostima), depressione e magari anche chirurgia plastica. Tutto questo prima dell'avvento delle emoji non esisteva secondo questa gente. Sono nati ieri o hanno vissuto con la testa sotto la sabbia?

E se il problema fosse veramente quello? Se davvero le ragazze pensano che le emoji le definiscano?

Allora, forse, abbiamo un guasto culturale molto più ampio. Perché confondere la profondità dell’identità con la bidimensionalità di un’icona significa vivere in un mondo dove lo schermo è più reale del mondo che le circonda. Sarebbe un male ancora peggiore da eradicare dell'estremismo ideologico stesso.

🧠 Il punto vero non sono le emoji, ma chi ci crede

Il dramma non è che qualcuno abbia pensato questa campagna. È che media e sponsor l’abbiano promossa come strumento educativo e sociale. Che le criticità adolescenziali vengano ridotte a un gap iconografico.

Chi denuncia le immagini stereotipate, le riproduce. Chi combatte il patriarcato, lo rappresenta graficamente. Chi vuole emancipare, lo fa con una faccina rosa che canta.

E poi ritira il premio dal "fondo statale per l'innovazione sociale".

🔚 Conclusione: se le emoji sono misogine, allora tutto lo è

Se tutto può essere sessista — anche un’emoji neutra — allora nulla lo è davvero. E se la rappresentazione grafica di una donna con i capelli lunghi è emancipazione, mentre ieri era oppressione, allora non esiste più il concetto di coerenza, solo quello di occasione.

Ci siamo dimenticati che l'identità non si risolve con un aggiornamento Unicode. Che l’autostima non nasce da una tastiera. E che combattere il sessismo richiede pensiero, non faccine animate.

Perché alla fine, i problemi delle ragazze adolescenti non nascono dalle emoji. Nascono dalla convinzione che le emoji siano tutto ciò che conta.

Inoltre rendiamoci conto dell'enorme forzatura che è definire "sessiste" delle immagini che originariamente sono nate senza capelli, volti stilizzati che non rappresentano genere, etnie, religioni.
Nulla: due occhi e una bocca sorridente. Prenderle e farne una crociata ideologica è ancora più stupido delle fandonie raccontate dalla loro ideologia stessa.

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Fabrizio Leone
Blogger da oltre 15 anni, faccio del mio meglio per diffondere fatti e non fallacie logiche o punti di vista polarizzati e distorti. In Sociologia i media sono definiti "il quarto potere" e a ben donde: le notizie plasmano l'opinione pubblica e molti abusano di questa dinamica.