Nove anni dopo il No Triv — abbiamo davvero difeso l’ambiente o perso il buon senso?

Nel 2016 gli italiani furono chiamati a votare contro l'estensione delle concessioni per l'estrazione di gas naturale in mare. Si trattava di giacimenti già attivi, alcuni a pochi chilometri dalla costa, gestiti da compagnie che chiedevano semplicemente di poter continuare a lavorare dove il sottosuolo offriva ancora risorse. Il referendum — promosso da attivisti e comitati ambientalisti — non ha raggiunto il quorum. Ma il clima di ostilità e demonizzazione che ha generato ha lasciato il segno. E oggi, nove anni dopo, vale la pena chiedersi se quel gesto politico abbia davvero difeso qualcosa, o se sia stato solo un esercizio ideologico con costi molto concreti.

💸 Investimenti persi, energia persa, coerenza persa

Secondo dati raccolti negli anni successivi, il settore estrattivo ha perso oltre 2 miliardi di euro in investimenti. Non perché il referendum abbia bloccato tutto — non lo ha fatto — ma perché il clima politico e mediatico ha scoraggiato qualsiasi proroga. Abbiamo scelto di lasciare gas sottoterra. Gas che sarebbe stato nostro, vicino, controllato, utile.

Nel frattempo, però, i paesi limitrofi trivellano a pochi chilometri da noi, sfruttando le stesse falde geologiche. Le piattaforme ci sono comunque, l’impatto ambientale anche. Solo che i benefici energetici se li prendono gli altri.

Nel nome della purezza, abbiamo reso più sporca la nostra dipendenza energetica.




🧠 Il paradosso dell’ambientalismo senza soluzioni

I promotori del No Triv — da Greenpeace ai gruppi eco-social — hanno urlato contro le “lobby del petrolio”, ignorando spesso un dettaglio fondamentale: il referendum riguardava il gas naturale, non il petrolio. Le piattaforme al centro del voto erano già operative, alcune perfino considerate modelli di sostenibilità, con impatti minimi e fauna marina stabile.

Bloccarle non ha salvato mari. Ha salvato slogan.

Nel frattempo, l’Italia non ha costruito un piano energetico alternativo. Le rinnovabili crescono lentamente, l’eolico è ostacolato da burocrazia e vincoli paesaggistici, il fotovoltaico è a tappeto solo sui tetti delle villette.

Parlare di “energia pulita” suona bene, ma vivere senza energia è un'altra cosa. E in un paese con oltre 58 milioni di abitanti, campare solo di vento e sole — per ora — non è un'opzione.

🔚 Dalla virtù all’autolesionismo: il prezzo della coerenza ideologica

In nome dell’ambiente abbiamo scelto di non trivellare dove già trivellavamo, e dove i giacimenti offrivano ancora risorse. Abbiamo rinunciato a investimenti, posti di lavoro, energia italiana. Abbiamo applaudito chi incatenava sé stesso alle piattaforme, salvo poi importare gas da navi turche, albanesi e maltesi, che trivellano accanto a noi, per noi, senza che possiamo più dire nulla.

Nel bilancio finale, il No Triv non ha salvato l’ambiente. Ha solo mostrato quanto siamo bravi a sabotare noi stessi. E oggi, in un’Europa segnata dalla guerra in Ucraina, quella scelta scellerata ci presenta il conto: dipendiamo da fornitori esteri instabili e da mercati soggetti a speculazioni geopolitiche, pagando il gas più caro — non solo in euro, ma in vulnerabilità strategica.

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Fabrizio Leone
Blogger da oltre 15 anni, faccio del mio meglio per diffondere fatti e non fallacie logiche o punti di vista polarizzati e distorti. In Sociologia i media sono definiti "il quarto potere" e a ben donde: le notizie plasmano l'opinione pubblica e molti abusano di questa dinamica.