Il titolo dello studio è “Glaciers, Gender and Science: A Feminist Glaciology Framework” — non uscito da un sito satirico, ma da una rivista peer-reviewed. E sta ancora lì, citato da decine di altri lavori, mentre tu, lettore comune, cerchi ancora di capire se è una burla.
🧠 Quando l’ideologia scrive le conclusioni prima di raccogliere i dati
Il problema non è l’interesse per l’inclusione. È la metodologia. Il paper non parte da osservazioni, dati, verifiche. Parte da una convinzione: la scienza glaciologica esclude donne, indigeni e voci non occidentali. Da lì costruisce argomentazioni a sostegno, citando concetti come “epistemologie alternative”, “dominio cognitivo” e “rapporti di potere tra uomo e ghiaccio”.
Non è scienza nel senso tradizionale. È teoria. Il metodo scientifico — osservare un fenomeno, formulare ipotesi, verificare — qui si piega a una struttura narrativa già definita, in cui l’uomo bianco è il villain e il ghiacciaio il pretesto.
🔍 Dove non c’è sessismo, lo si inventa per analogia
Una delle parti più curiose è il tentativo di dimostrare che l'esclusione dei saperi locali è una forma di maschilismo epistemico. Il ragionamento è: se le comunità indigene o le donne locali non vengono ascoltate dagli scienziati, allora la scienza riproduce un dominio maschile.
Ma come ho giustamente osservato, facilmente aggiungo, questa è arroganza cognitiva, non sessismo. Gli accademici, spesso uomini ma anche molte donne, tendono a credere che chi “ha studiato” sappia più degli altri — anche se l’altro vive accanto al ghiacciaio da trenta generazioni. È un problema di status, di mentalità, non di genere. Confondere snobismo intellettuale con patriarcato è il vero corto circuito del paper. E della loro intera ideologia.
🌀 Una parodia involontaria della scienza postmoderna
Il documento cita "rappresentazioni alternative dei ghiacciai", come narrazioni artistiche o esperienze personali, al pari della modellistica climatica o dei dati satellite. È il trionfo dell'equivalenza epistemica: ogni sapere vale quanto ogni altro, purché sfidi il canone dominante.
Ma se i dati e la percezione si mettono sullo stesso piano, la scienza diventa un’opinione, e l’opinione una metodologia. E allora il ghiacciaio non si misura più: si interpreta. Si racconta. Si politicizza.
Questa uscita dopo aver sostenuto che il sapere locale è valido, ne inficia automaticamente la validità.
Peccato perché era l'unica cosa giusta che avevano sostenuto...
❌ I rischi di spacciare l’ideologia per scienza
Il problema non è solo interno all’accademia. È culturale. Quando articoli come questo vengono promossi come “ricerca scientifica” da media e attivisti, il confine tra analisi e propaganda si dissolve. La credibilità delle discipline ambientali — che dovrebbero occuparsi della crisi climatica, dello scioglimento dei ghiacciai, dei rischi geologici — viene schiacciata sotto il peso della retorica postcoloniale, che tutto interpreta ma nulla misura.
🔚 Conclusione: non è il ghiaccio a essere sessista, ma chi lo studia male
Non serve una glaciologia femminista. Serve una scienza fatta bene, da chiunque, per chiunque. Che ascolti i saperi locali, sì, ma senza rinunciare al rigore. Che apra alle voci escluse, certo, ma senza confondere la fisica con la narrativa. Il ghiaccio non è patriarcale. È molecolare. E se il paper ancora ti fa sorridere, forse è perché l’ideologia ha voluto sciogliere la logica — ma ha dimenticato il termometro.