Fine 2014, una spedizione di Greenpeace ha arrecato danno al sito archeologico di Nazca proprio a fianco del famoso colibrì, e da bravi personaggi responsabili si sono scusati per l'accaduto e posto rimedio... no non è vero, hanno negato tutto nascondendosi dietro un dito.
Reputo questa trovata assolutamente inutile perché, ancora oggi nel 2025 ad oltre 10 anni dall'accaduto, le energie rinnovabili non garantiscono ancora l'indipendenza energetica, pensa che potevano fare quegli stracci di striscioni all'epoca.
Come si vede dalle fotografie pubblicate da Greenpeace stessa si vede chiaramente che gli "attivisti" indossano normalissime scarpe da quattro soldi senza preoccuparsi di prendere le dovute precauzioni per non danneggiare il sito millenario, manco stessero andando a fare una scampagnata fuori porta.
È tempo di cambiare, il futuro è rinnovabile
Durante il COP20 di Lima l'associazione GreenPeace mise su una campagna mediatica per promuovere la diffusione e l'uso di fonti energetiche rinnovabili.
A far parte di questa campagna c'era anche l'azione alle linee di Nazca, in cui dodici attivisti dell'associazione entrarono senza permesso nel sito di Nazca per posizionare delle lettere gigantesche di fianco alla famosa figura del colibrì, che recitavano tale scritta:
"Time for change! The future is renewable"
E sotto più piccolo la firma Greenpeace.
Il danno al sito
Galeotto fu il giorno in cui questi personaggi hanno deciso di mettere in atto una trovata pubblicitaria in cui esortavano a passare alle fonti rinnovabili mediante degli striscioni di tessuto. Iniziativa tanto simbolica quanto inutile.
Oltre ad averli posati troppo vicino al disegno del colibrì hanno creato danni non indifferenti mentre armeggiavano e posizionavano la scritta lì attorno.
Reputo questa trovata assolutamente inutile perché, ancora oggi nel 2025 ad oltre 10 anni dall'accaduto, le energie rinnovabili non garantiscono ancora l'indipendenza energetica, pensa che potevano fare quegli stracci di striscioni all'epoca.
L'intervento delle autorità peruviane
Sembra proprio che le autorità peruviane non abbiano apprezzato il "lavoro" dei volontari nel delicato sito archeologico, così hanno deciso di impedirne la partenza avanzando perfino delle incriminazioni per il danneggiamento che hanno posto in essere.
La gente giustamente si è inalberata parecchio con Greenpeace per il danno subito, ma veramente tanto. Non solo in Perù ma in tutto il mondo. Stavolta il danno non è stato solo al patrimonio storico peruviano, ma anche alla loro stessa immagine.
La difesa dei responsabili
Non potendo negare di essere stati loro, visto che hanno firmato a caratteri cubitali l'impresa e l'hanno ampiamente documentata con fotografie e altro materiale per la campagna pubblicitaria stessa, si sono difesi sostenendo che con loro c'era un archeologo che ha verificato che non venissero danneggiate le linee.Non conosco il suo nome, ma direi che ha compiuto un lavoro tutt'altro che egregio.
Sito chiuso al pubblico che richiedeva speciali attrezzature per l'accesso
Il sito è chiuso al pubblico, per il semplice ma importante motivo che lo strato scuro che sta sopra lo strato chiaro, che ha reso possibile creare quei bellissimi disegni, è fragilissimo.
Per poterci camminarci sopra sono necessarie delle apposite attrezzature, che sfruttano lo stesso principio delle racchette da neve distribuendo il peso su una superficie molto più ampia, evitando di creare danni.
Come si vede dalle fotografie pubblicate da Greenpeace stessa si vede chiaramente che gli "attivisti" indossano normalissime scarpe da quattro soldi senza preoccuparsi di prendere le dovute precauzioni per non danneggiare il sito millenario, manco stessero andando a fare una scampagnata fuori porta.
Sono andati impunemente a calpestare il fragilissimo sito archeologico e lo hanno pure dimostrato, in tutto questo "l'archeologo che vigilava" mi domando se stesse dormendo o se sia mai esistito.
Ma non basta! La fotografia mostra come per tenere fermi quegli stracci da quattro soldi ci abbiano messo sopra dei blocchetti o pezzi di legno. Hanno zavorrato la loro scritta che stava sopra un terreno delicatissimo che stavano già calpestando con i loro piedi e lo hanno pure dimostrato.
Ma non basta! La fotografia mostra come per tenere fermi quegli stracci da quattro soldi ci abbiano messo sopra dei blocchetti o pezzi di legno. Hanno zavorrato la loro scritta che stava sopra un terreno delicatissimo che stavano già calpestando con i loro piedi e lo hanno pure dimostrato.
E hanno avuto il coraggio di negare tutto, fra l'altro.
Fotografie dall'alto
Nonostante le dichiarazioni degli attivisti di non aver fatto danni perché "accompagnati da un archeologo" un fotografo, Andrew Dare, ha fatto delle fotografie aeree del sito dimostrando chiaro e tondo come a Greenpeace abbiano photoshoppato le loro fotografie per nascondere i danni fatti:![]() |
Condivisa anche da Italia unita per la scienza che ha approfondito parecchio la faccenda |
Per chi non conosce l'inglese: le foto a sinistra sono quelle pubblicate da Greenpeace, quelle a destra sono quelle scattate da Andrew.
Nelle foto di Andrew Dare si vedono chiaramente i segni lasciati dagli attivisti di Greenpeace e dal loro "archeologo", ed è un danno ingente.
Le condanne
Le autorità peruviane dopo aver bloccato gli attivisti e denunciati per attentato contro il patrimonio culturale avviarono un procedimento penale nei loro confronti.
Nel maggio 2017, il tribunale penale unipersonale di Nasca condannò l’austriaco Wolfgang Sadik a 2 anni, 4 mesi e 2 giorni di reclusione con pena sospesa, dopo che l’imputato aveva ammesso le proprie responsabilità. La sentenza prevedeva anche il pagamento di 650.000 soles (circa 170.000 euro all’epoca) come risarcimento civile, frutto di un accordo tra Greenpeace e il Ministero della Cultura del Perù. Altri attivisti identificati, tra cui l’argentino Mauro Fernández, un colombiano e una cittadina tedesca, hanno avuto destini separati:
Mauro Fernández era stato oggetto di un mandato di cattura internazionale e di una richiesta di estradizione dal Perù all’Argentina. In patria era stato sottoposto a restrizioni (divieto di espatrio e obbligo di dimora), ma non risultano notizie pubbliche di un processo concluso in Perù.
Herbert Augusto Villarraga Salgado, colombiano, era anch’egli tra gli imputati, ma non ci sono aggiornamenti ufficiali su una condanna definitiva.
Iris Wiedmann, tedesca non si era presentata alle udienze del 2017 e, come per gli altri due, le autorità peruviane avevano disposto la possibilità di condurla in aula con la forza. Anche in questo caso, però, non emergono notizie di una sentenza successiva.
Purtroppo dopo il clamore iniziale si è affievolito l'interesse e non ci sono notizie certe sulle condanne degli altri attivisti.
Fonti e approfondimenti
Selezione di fonti istituzionali e giornalistiche utilizzate per verificare i fatti relativi all’azione di Greenpeace presso le Linee di Nazca e i successivi sviluppi giudiziari.
- UNESCO – Nazca Lines and Geoglyphs of Nasca and Palpa — scheda ufficiale del sito patrimonio mondiale, con criteri di protezione e fragilità del geoglifo del colibrì.
- BBC News – Peru probes Greenpeace Nazca stunt — cronaca iniziale dei fatti e reazioni del governo peruviano (dicembre 2014).
- The Guardian – Greenpeace apologises for Nazca lines stunt — ricostruzione giornalistica con dettagli operativi e scuse dell’organizzazione.
- Reuters – Greenpeace activist convicted over Peru Nazca stunt — notizia della condanna di Wolfgang Sadik e del risarcimento concordato (maggio 2017).
- El Comercio – Activista de Greenpeace condenado por daños en Líneas de Nazca — copertura locale con dettagli della sentenza e delle richieste risarcitorie.
- Greenpeace International – Nazca Lines statement — dichiarazione ufficiale dell’organizzazione dopo l’episodio.
Le fonti includono documenti istituzionali (UNESCO), testate internazionali (BBC, The Guardian, Reuters) e locali (El Comercio), oltre alla dichiarazione ufficiale di Greenpeace. Dove possibile, sono stati utilizzati link diretti agli articoli originali per garantire verificabilità e trasparenza.