L’uomo che ha sfidato la stratosfera se n’è andato — e con lui, una parte di ciò che credevamo impossibile.
Felix Baumgartner, noto per aver ridefinito i confini dell’audacia umana, è morto il 17 luglio 2025 a Porto Sant’Elpidio, durante un volo in parapendio a motore. Un malore in volo ha causato la perdita di controllo del mezzo, portando a uno schianto fatale. Aveva 56 anni.
La notizia ha immediatamente riacceso l’interesse su una figura che era diventata iconica non solo per le imprese estreme, ma anche per il modo in cui metteva a tacere — con eleganza o con forza bruta — chi lo accusava di imbroglio, bluff o sensazionalismo tecnico.
🏔️ Le imprese che hanno scritto il suo mito
Felix Baumgartner non era solo “quello del salto dalla stratosfera”. Era un architetto del rischio, un atleta che ha trasformato il concetto di volo umano in una disciplina estrema e poetica. Prima di diventare l’uomo più veloce del mondo in caduta libera, aveva già collezionato imprese che sembrano uscite da un film di fantascienza — ma erano tutte reali.
Nel 1999 si lanciò dalla mano del Cristo Redentore a Rio de Janeiro, stabilendo il record per il BASE jump più basso mai effettuato: appena 29 metri. Nello stesso anno, saltò dalle Petronas Towers di Kuala Lumpur, travestito da uomo d’affari con il paracadute nascosto in una valigetta. Nel 2003 attraversò il Canale della Manica con una tuta alare in fibra di carbonio, volando come un falco sopra l’oceano, senza motore né assistenza. Nel 2007 si lanciò dal Taipei 101, allora il grattacielo più alto del mondo, con un salto non autorizzato che gli valse il divieto d’ingresso a Taiwan. Nel 2014, dopo il salto epico dalla stratosfera, partecipò alla 24 Ore del Nürburgring con un’Audi R8 LMS, dimostrando che la sua fame di velocità non si limitava all’aria. Negli ultimi anni si dedicò al volo acrobatico in elicottero, alle missioni benefiche, e alla raccolta fondi per progetti umanitari — tra cui la fondazione Wings for Life, per la ricerca sulle lesioni spinali.
Ogni impresa era preparata con precisione maniacale, testata, simulata, e poi eseguita con una calma che solo chi ha fatto pace con la paura può permettersi. Baumgartner non cercava il brivido — cercava la verità che si trova solo quando si sfida il limite.
Nonostante questo qualcuno mise in dubbio le sue imprese, specialmente il salto dalla stratosfera.
💥 Le perle degli “esperti” scettici sul salto stratosferico
Premessa: qui per “esperti” si intende un manipolo di individui che si autodefiniscono tali, spesso confondendo il diploma da perito commerciale con la padronanza della fisica quantistica. Ecco cosa sostenevano, e cosa tu hai demolito con sarcasmo e intelligenza:
La prima obiezione verteva sulla velocità: “Un corpo umano non può raggiungere 1.300 km/h senza disintegrarsi”. Davvero? I meteoriti vanno ben oltre, ma si disintegrano per l’attrito atmosferico — cosa che Baumgartner ha evitato con una tuta appositamente progettata e un’altitudine da cui la densità dell’aria era favorevole alla stabilità. E poi: jet da caccia superano i 2.000 km/h da decenni. I piloti non si vaporizzano.
Poi c’era il tormentone sull’errore di traiettoria: “Due gradi e finiva a 1.500 km di distanza”. Certo, come se il team Red Bull Stratos avesse pianificato cinque anni di progetto usando Google Maps e una fionda. L’intero assetto di volo, da pallone pressurizzato a calcolo balistico, era calibrato al millimetro — non con un filo di spago — e monitoraggio GPS. Il margine di errore era contenuto da sistemi di controllo e da un team di ingegneri aerospaziali.
Altro capolavoro: “Un corpo umano non supera i 250 km/h in caduta libera”. Affermazione degna di chi ha confuso un documentario sugli skydiver con un libro di Newton. La velocità terminale dipende da quota, resistenza dell'aria e postura. A 39 km di altezza, l’aria è rarefatta e la resistenza è minima — e questo consente un’accelerazione mai vista in precedenza.
“Il pallone doveva esplodere! Il paracadute doveva strapparsi!”
La mentalità del "ha usato un sacchetto della spesa e una corda da bucato" è affascinante. Quel pallone era un capolavoro ingegneristico, tanto quanto il paracadute. E se non si è strappato, forse è perché era progettato per resistere a quel tipo di sollecitazioni — anziché essere preso in prestito dal kit di Carnevale:
Il pallone era costruito con polietilene ultra-sottile da 0,02 mm, progettato per espandersi fino a 30 milioni di piedi cubi. Il paracadute era testato per aperture a velocità elevate, con sistemi di backup e sensori di sicurezza.
💡 Perché oggi conta ancora
A distanza di anni, l’impresa di Baumgartner resta uno spartiacque tra il coraggio e la scienza, tra l’invenzione e la precisione. E anche tra chi sa e chi scrive sui forum. La sua scomparsa riporta sotto i riflettori una figura che non solo ha saltato da quote astronomiche — ma ha schivato il pregiudizio gravitazionale dell’ignoranza online.
Baumgartner non era solo il protagonista di uno dei salti più epici della storia. Era il testimone di un tempo in cui la scienza e il fegato collaboravano per fare qualcosa di memorabile. E oggi, aggiornando questo articolo, gli diamo un altro piccolo tributo: sbugiardando chi, pur restando a terra, continua a parlare come se fosse lui quello salito oltre l’atmosfera.