Studentessa russa versa acqua e candeggina sugli uomini in metro

Il caso del manspreading e le crociate sociali: quando l'attivismo sfocia nell'assurdo

Introduzione

Negli ultimi anni, i dibattiti sui comportamenti negli spazi pubblici si sono moltiplicati, dando vita a vere e proprie battaglie culturali. Tra le controversie più accese troviamo quella sul manspreading, ossia l'abitudine di alcuni uomini di sedersi con le gambe leggermente divaricate nei trasporti pubblici. Un'attivista in Russia ha deciso di denunciare questo "problema" con un'azione che ha sollevato indignazione e dibattiti: versare candeggina sui pantaloni degli uomini colti in flagrante.

Ma cosa c’è dietro questo tipo di protesta? È davvero un segnale di oppressione o si tratta di un'esagerazione ideologica? Analizziamo il contesto, le reazioni e le implicazioni di questo episodio.

Il manspreading: un fenomeno reale o costruito?

Il termine manspreading è nato negli ambienti del femminismo radicale e indica il gesto di sedersi con le gambe leggermente divaricate, considerato da alcuni un modo per occupare più spazio del necessario e per trasmettere inconsciamente un senso di dominanza. L'argomento è stato dibattuto ampiamente, con posizioni che vanno dall'accusa di maschilismo strutturale fino alla sua totale irrilevanza nel panorama delle vere problematiche sociali.

Dal punto di vista fisiologico, gli uomini tendono a sedersi con le gambe leggermente aperte per ragioni anatomiche. La conformazione dell’area inguinale rende scomodo e potenzialmente dannoso mantenere le gambe completamente chiuse per lunghi periodi, con il rischio di compressione e problemi di circolazione. Questo aspetto viene spesso ignorato nelle discussioni più accese sul manspreading, dando spazio a narrazioni che lo descrivono come un atto intenzionale di prevaricazione.



L'attivista e la protesta estrema

Una studentessa di giurisprudenza in Russia ha deciso di non limitarsi alla denuncia verbale del manspreading e ha avviato una campagna di "repressione diretta" contro gli uomini che, secondo lei, lo praticavano. La sua azione consisteva nel versare un misto di acqua e candeggina sul cavallo dei pantaloni di uomini seduti con le gambe divaricate nella metropolitana, con l’intento di "punirli" e sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema.

Le immagini e i video della sua protesta hanno rapidamente fatto il giro del web, suscitando indignazione e alimentando polemiche. Molti hanno definito il suo gesto un vero e proprio atto di violenza, sottolineando l’assurdità di punire un comportamento innocuo con danni materiali inflitti deliberatamente. Altri si sono spinti oltre, sostenendo che il video fosse una messa in scena, con attori ingaggiati per simulare le vittime e amplificare il messaggio.

Attivismo o vandalismo? Le implicazioni di gesti estremi

L'aspetto più preoccupante di questa vicenda non è solo il metodo impiegato, ma il concetto che lo sostiene. L'idea che un comportamento quotidiano e privo di reali conseguenze possa essere trasformato in un motivo di persecuzione attiva mostra una tendenza crescente all'ideologizzazione forzata della società. Non si tratta di una reale battaglia per i diritti, ma di un tentativo di demonizzare categorie di persone con metodi aggressivi e, in alcuni casi, illegali.

I danni arrecati da questo tipo di protesta non si limitano agli abiti rovinati: l'effetto è quello di alimentare un clima di tensione e conflitto tra generi, andando ben oltre la semplice questione del comportamento nei trasporti pubblici. Azioni come questa rischiano di delegittimare i veri problemi sociali e di trasformare l'attivismo in una forma di esibizionismo fine a sé stesso.

Il paradosso delle "crociate sociali"

Uno degli aspetti più ironici di questa vicenda è l’apparente contraddizione tra i principi sostenuti dall’attivista e i suoi metodi. Se il problema che si denuncia riguarda la mancanza di rispetto negli spazi pubblici, ha senso combatterlo con un gesto intrinsecamente aggressivo? Invece di promuovere educazione e sensibilizzazione, la sua azione ha creato un clima di ostilità, portando alla criminalizzazione di un gesto quotidiano senza alcuna reale giustificazione.

Questo episodio riflette una dinamica sempre più diffusa nelle battaglie sociali contemporanee, dove la ricerca di visibilità e il sensazionalismo prevalgono sulla riflessione e sul dialogo. Quando la denuncia di un problema si trasforma in un attacco diretto a un gruppo di persone, si rischia di perdere credibilità e di alimentare divisioni inutili.

Conclusione

L'attivismo dovrebbe essere guidato dalla ragionevolezza e dalla volontà di migliorare la società, non dalla ricerca di nemici da combattere. Il caso del manspreading dimostra come alcune battaglie vengano portate avanti con modalità esagerate e irrazionali, generando più danni che benefici. Il rispetto negli spazi pubblici è un tema importante, ma va affrontato con equilibrio e buon senso. Azioni radicali come quella dell'attivista russa finiscono per trasformare un dibattito in uno scontro inutile e privo di vere soluzioni.


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