Una personalità divisiva
Selvaggia Lucarelli è una figura centrale nel panorama mediatico italiano. Opinionista, giornalista, influencer, ha costruito un’immagine di donna forte, che non ha paura di dire ciò che pensa. Tuttavia, alcuni episodi recenti hanno acceso il dibattito sul rapporto tra diritto alla reputazione e responsabilità nel denunciare comportamenti altrui, specialmente quando la denuncia comporta conseguenze professionali per altri.
Il caso dell’arbitro e l’effetto amplificatore
Uno degli episodi più discussi riguarda la segnalazione, da parte di Lucarelli, del comportamento di un arbitro dilettantistico che aveva pubblicato sui social un contenuto volgare nei suoi confronti. Il gesto dell’uomo è stato unanimemente giudicato inadeguato, ma è la modalità di reazione della giornalista ad aver sollevato perplessità.
Invece di rispondere direttamente alla provocazione, Lucarelli ha inviato una segnalazione all’associazione sportiva di riferimento, dichiarando che l’uomo “offende le donne” e chiedendo l’adozione di provvedimenti. Il dubbio sollevato da alcuni osservatori è se una singola offesa rivolta a una persona pubblica possa essere interpretata come un attacco a tutte le donne — e quindi giustificare una denuncia di stampo istituzionale.
"Gentile presidente, In questo periodo così triste per le donne e alla luce dei tanti fatti di cronaca che le riguardano, devo segnalarle il comportamento di uno dei vostri arbitri sul web. G.B., vostro arbitro di Catanzaro, insulta le donne dal suo profilo pubblico in cui ha la foto copertina con la vostra divisa e in cui cita l'Aia come suo datore di lavoro. Sono disponibile a fornirvi altro materiale sulla persona in questione."
Strumentalizzazione o legittima difesa?
La questione si fa complessa: trasformare un insulto personale in una questione collettiva può apparire come una lettura forzata, soprattutto se non ci sono chiari riferimenti discriminatori nel contenuto offensivo. In questo senso, c'è chi ritiene che un uso estensivo del concetto di sessismo possa finire per banalizzarne la portata, minando la credibilità delle battaglie femministe più autentiche.
Una riflessione sul potere dei social e sugli effetti concreti
In un momento storico in cui l’instabilità economica colpisce con forza fasce già fragili della popolazione — tra cui molti uomini in condizioni di precarietà lavorativa e marginalità sociale — chiedere la sospensione o il licenziamento di una persona per un comportamento online, pur inappropriato, pone un interrogativo etico. La responsabilità pubblica non è solo di chi sbaglia, ma anche di chi ha il potere di amplificare e orientare le reazioni del pubblico.
Il paradosso della “forza” come difesa
Questo episodio solleva anche una riflessione più ampia sul concetto di “forza” nell’arena pubblica. La forza non risiede solo nella visibilità o nel numero di follower, ma anche nella capacità di affrontare critiche e attacchi mantenendo coerenza e misura. Reagire a un’offesa personale invocando una categoria sociale intera può sembrare, agli occhi di molti, una risposta debole mascherata da coraggio — una contraddizione rispetto all’immagine di donna forte che Lucarelli stessa promuove.
Conclusione: dignità, misura e coerenza
Nel contesto attuale, in cui i social media amplificano ogni parola, la responsabilità di chi comunica non è solo nei contenuti che diffonde, ma anche nelle modalità con cui gestisce il dissenso. La credibilità, tanto nel giornalismo quanto nell’attivismo, si fonda sulla coerenza tra ciò che si afferma e ciò che si fa.