Un Babbo Natale, un bambino e la lotta per la vita: una storia (forse) vera, ma sicuramente toccante
Alcune storie restano incise nella memoria anche se non possiamo verificarne del tutto l’autenticità. Questa è una di esse. Raccontata nel 2016 da varie fonti statunitensi, vede protagonista Eric Schmitt-Matzen, un uomo anziano con barba lunga e bianca, fisico imponente e lineamenti che lo rendono quasi indistinguibile da Babbo Natale. Non è un attore: è uno dei tanti “veri” Babbi Natale che prestano servizio nei centri commerciali, negli ospedali, nei villaggi natalizi. E proprio per questo — si racconta — fu contattato da un’infermiera a Knoxville, Tennessee.
Il bambino che temeva di perdere il Natale
Secondo la testimonianza diffusa da Knox News Sentinel, Eric ricevette una telefonata urgente: un bambino di cinque anni, gravemente malato, chiedeva di incontrare Babbo Natale. Non c’era tempo per indossare l’abito: bastavano le sue bretelle rosse, già sinonimo di spirito natalizio. In quindici minuti, Eric era all’ospedale. La madre lo accolse in lacrime e gli consegnò un regalo affinché fosse Babbo Natale a porgerlo al figlio: un giocattolo della serie PAW Patrol.
Entrato nella stanza di rianimazione, Eric si sedette accanto al bambino. Il piccolo, molto debole, gli sussurrò: “Dicono che sto per morire.” Eric, con delicatezza, lo rassicurò: “Non ti perderai il Natale. Gli elfi hanno già preparato il tuo regalo.” Dopo averlo aiutato a scartarlo, lo invitò a fare un favore: “Quando arriverai ai cancelli del Paradiso, di’ loro che sei l’elfo numero uno di Babbo Natale.” Il bimbo sorrise, lo abbracciò… e secondo Eric, morì fra le sue braccia pochi istanti dopo.
Eric, ex militare, racconta di essere scoppiato in lacrime e di aver pensato di abbandonare per sempre il ruolo di Babbo Natale. La storia ha commosso milioni di persone, diventando virale in pochi giorni.
Una storia non confermata, ma d’impatto
La notizia suscitò enorme emozione, venne rilanciata da numerosi media nazionali e fece il giro del mondo. Tuttavia, nel giro di poche settimane, lo stesso giornale che per primo l’aveva raccontata aggiunse una nota: non esiste conferma ufficiale della vicenda. L’ospedale non fu mai identificato, né la famiglia, per motivi di privacy; e nessuna fonte indipendente è riuscita a verificarne i dettagli. Questo ha fatto nascere dubbi sulla sua veridicità — ma non ha intaccato la forza del messaggio.
Perché raccontare questa storia, allora?
Che sia vera o no, questa storia tocca corde profonde. Racconta la paura di un bambino non per la morte, ma per la possibilità di perdere il Natale, simbolo di gioia, attesa e speranza. Racconta la fragilità, la tenerezza, e soprattutto il potere del gesto umano. Ma soprattutto ci ricorda che la ricerca medica non è un tema astratto: è ciò che può impedire storie come questa di ripetersi.
Organizzazioni come AIRC, Telethon, AIL si battono ogni giorno contro le malattie genetiche, tumorali e rare. Sostenere la ricerca — con donazioni, volontariato o semplicemente con una posizione chiara contro la disinformazione — significa proteggere i più fragili: bambini, anziani, pazienti senza voce.