Attivismo, ideologia e diritti violati: il caso Green Hill rivisitato

Una vicenda complessa, dai risvolti umani drammatici e spesso ignorati. Mentre l’opinione pubblica celebrava la chiusura del canile Green Hill di Montichiari, alcune vite andavano lentamente in frantumi. Stefano e Cesarina, ex dipendenti della struttura specializzata nell’allevamento di beagle per la ricerca scientifica, vivono da oltre un anno e mezzo sotto un portico, in condizioni di miseria estrema.

Dopo Green Hill: disoccupazione e povertà

In seguito alla chiusura di Green Hill, motivata da una forte pressione mediatica e giudiziaria, molti lavoratori hanno perso il lavoro e sono senza tutele. Stefano ne è un esempio: nonostante oggi abbia un nuovo impiego, il salario non è sufficiente a permettergli un alloggio dignitoso. Cesarina, nel frattempo, si è ammalata a causa delle durissime condizioni di vita. Una conseguenza diretta della disinformazione animalista e della demonizzazione indiscriminata di chi operava nel canile.


Dai beagle salvati alle condizioni peggiori: le vere conseguenze

Mentre alcuni attivisti hanno sbandierato la “liberazione” dei cani di Green Hill come una vittoria morale, poco si è detto delle reali ripercussioni. Gli allevamenti di cani destinati alla sperimentazione scientifica, infatti, sono stati trasferiti in centri esteri dove, secondo diverse inchieste, non esistono gli stessi standard di benessere animale previsti in Italia. Il risultato? Trasporti più lunghi e stressanti, condizioni meno controllate, e un effetto boomerang sugli stessi animali che si volevano proteggere.

Animalismo estremo o reato organizzato?

Nel 2012, durante l’irruzione a Green Hill, alcuni attivisti hanno sottratto cuccioli di beagle, causando danni economici enormi e, purtroppo, anche la morte di alcuni animali per incuria. Uno di questi cuccioli morì dopo aver bevuto da un secchio contenente detergenti, ma questo dettaglio viene spesso omesso. L’azione, apparentemente filantropica, nasconde gravi violazioni di legge.

Condanne per aggressioni: l’animalismo militante sotto processo

Negli anni successivi alla chiusura di Green Hill, diversi episodi di violenza collegati ad attivismo animalista hanno attirato l’attenzione della magistratura. Un caso emblematico risale al 2016, quando undici attivisti anticaccia sono stati accusati di aggressione e minacce durante una battuta di caccia a Lenta, in Piemonte. Dopo anni di processo, nel 2021, il tribunale di Vercelli ha emesso condanne penali, riconoscendo la gravità delle azioni compiute.

Questo rappresenta uno dei pochi casi in cui la giustizia ha preso posizione netta contro derive estremiste dell’animalismo. Nonostante ciò, molte azioni simili sono spesso minimizzate o non perseguite con la necessaria fermezza. Serve maggiore attenzione da parte delle istituzioni verso chi usa l’attivismo come copertura per comportamenti violenti o intimidatori.

Urge un precedente giuridico

Serve un precedente giurisprudenziale forte, che protegga i diritti delle persone oneste coinvolte e che riconosca i limiti dell’attivismo quando diventa violento, ideologico e illegale. Le sentenze finora sono state poche, tardive e spesso non risolutorie.

Fonti e approfondimenti:

Federcaccia Piemonte: Condanne agli "animalisti"

Ultimo aggiornamento: Giugno 2025