📅 Il contesto: un post, una svastica e una censura
Qualche tempo fa ho condiviso sulla mia pagina uno screenshot tratto da un post pubblicato da Forza Nuova, creato dalla pagina "siamo la gente il potere ci temono", in cui veniva definito “verme” un ragazzo africano morto a Fermo nel 2016.
Si trattava di Emmanuel Chidi Namdi, 36 anni, richiedente asilo nigeriano. Emmanuel fu aggredito dopo aver difeso la sua compagna, insultata con epiteti razzisti mentre passeggiavano insieme. L’aggressore, Amedeo Mancini, un ultrà noto per legami con ambienti neofascisti, lo colpì con un pugno: Emmanuel cadde, batté la testa e morì per una frattura cranica.
La coppia era fuggita dalla Nigeria dopo un attacco di Boko Haram in cui avevano perso i genitori e una figlia. Vivevano nel seminario di Fermo grazie alla Caritas. Il caso suscitò indignazione nazionale, ma anche reazioni vergognose da parte di ambienti estremisti — come appunto il post di Forza Nuova che ho denunciato pubblicamente.
Eppure, nonostante non avessi aggiunto alcun commento politico, alcuni “ragazzi per bene” hanno reagito con insulti e segnalazioni. Il risultato? Facebook ha censurato me, non loro.
🚫 Facebook censura chi denuncia, non chi diffonde odio
Volendo denunciare pubblicamente il comportamento becero di questi personaggi ho documentato i commenti, compresa l'immagine di profilo inneggiante al periodo più buio della storia recente, pubblicando tutto poco tempo dopo la loro "incursione" nella pagina.
Il risultato? Facebook ha rimosso il mio post e mi ha bloccato per 3 giorni. Nonostante avessi solamente documentato il fatto. Nonostante fosse evidente che stavo denunciando un contenuto d’odio, non promuovendolo.
Chi aveva la svastica come immagine profilo è rimasto online. Chi ha insultato e segnalato è rimasto attivo. Io, che ho semplicemente mostrato ciò che loro stessi avevano pubblicato, sono stato censurato.
🧨 Il paradosso della moderazione algoritmica
Questo episodio non è un caso isolato. È il riflesso di un sistema in cui la moderazione non colpisce chi diffonde odio, ma chi lo espone. Un sistema in cui l’algoritmo non distingue tra denuncia e apologia, tra chi mostra e chi promuove.
È il paradosso della cosiddetta “moderazione automatica”, che spesso si traduce in una censura selettiva. E chi ne fa le spese non sono i fanatici, ma chi li smaschera.
🧠 Il trucco dei “lettori delusi”
Come spesso accade, i “ragazzi per bene” hanno anche tentato il giochetto del “sono un tuo lettore da anni, ma ora mi hai deluso”. Peccato che tra questi ci fosse chi aveva simboli nazisti nel profilo. Lettori di vecchia data? Forse di Mein Kampf.
Li ho messi alla berlina, come meritavano. Non per vendetta, ma per coerenza. Perché chi si presenta con una svastica e poi si offende se viene smascherato, non merita indulgenza. Merita di essere esposto.
📉 Il problema non è la politica, è l’ipocrisia
Non ho fatto politica. Ho fatto cronaca. Ho mostrato un contenuto reale, pubblico, documentato. Ma in un’epoca in cui la verità è scomoda, anche la cronaca diventa “violazione delle regole”.
Facebook, che si vanta di combattere l’odio online, ha scelto di punire chi lo denuncia. E questo, francamente, è molto più inquietante di qualsiasi svastica.
🎯 Conclusione
Non è questione di ideologia. È questione di coerenza. Se una piattaforma dice di combattere l’odio, non può punire chi lo denuncia. E se chi ha una svastica nel profilo può insultare impunemente, mentre chi lo espone viene bloccato, allora il problema non è chi denuncia. Il problema è il sistema.
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❓ Domande frequenti
Facebook censura davvero chi denuncia contenuti d’odio?
Sì, in molti casi. Quando un utente segnala o mostra contenuti estremisti, l’algoritmo può interpretarlo come una violazione, anche se si tratta di una denuncia. È un limite della moderazione automatica.
È possibile che un profilo con simboli nazisti resti attivo?
Purtroppo sì. Nonostante le linee guida ufficiali, molti account con simboli d’odio restano online per mesi, mentre chi li segnala viene punito.
Come difendersi da queste censure?
Documentare tutto, fare screenshot, e — se possibile — pubblicare su piattaforme alternative. Ma soprattutto: continuare a parlare. Perché il silenzio è il miglior alleato dell’odio.