Nel luglio 2025, la senatrice Valeria Valente ha pubblicato un post su Facebook in cui definisce l’apertura di uno sportello per uomini vittime di violenza come un “attacco alle donne”. Secondo la senatrice, questa iniziativa rappresenterebbe una minaccia alla lotta contro la cultura patriarcale e un tentativo di negare la “specificità” della violenza maschile contro le donne.
Ma davvero riconoscere che anche gli uomini possono essere vittime significa sminuire le donne? O siamo di fronte a un caso emblematico di ideologia che prevale sulla realtà?
⚖️ Il post di Valente: quando l’ideologia cancella la realtà
Nel suo lungo intervento, Valente sostiene che l’apertura di uno sportello per uomini maltrattati “assesta un colpo” al lavoro culturale ed educativo contro la violenza di genere. Secondo lei, iniziative di questo tipo alimentano una “narrazione distorta e falsa”, che negherebbe la matrice patriarcale della violenza.
Questa posizione, però, solleva interrogativi profondi. È davvero un attacco aiutare chi soffre? È davvero pericoloso riconoscere che anche gli uomini possono essere vittime di abusi, violenze domestiche, manipolazioni psicologiche e alienazione parentale?
La risposta, per chi guarda alla realtà senza filtri ideologici, è no. Aiutare chi soffre non è mai un attacco. È un atto di civiltà. E negare l’esistenza della sofferenza maschile in nome di una presunta “lotta culturale” rischia di trasformare una battaglia giusta come quella contro la violenza in una crociata cieca, in una caccia alle streghe che in questo caso sono gli uomini.
🧱 La realtà ignorata: uomini vittime e padri alienati
I dati parlano chiaro, anche se spesso vengono ignorati o minimizzati. Secondo uno studio pubblicato su Springer, fino all’80% delle accuse di abuso nei tribunali familiari risultano infondate o non dimostrabili. Questo non significa che tutte le denunce siano false, ma che esiste un problema sistemico: l’abuso delle accuse come strumento di vendetta o di controllo nei confronti dell’ex partner, spesso maschio.
In Italia, migliaia di padri separati vivono in condizioni di povertà, esclusi dalla vita dei propri figli, vittime di alienazione parentale e di un sistema che li considera colpevoli di default. Secondo l’Istat, oltre il 70% degli uomini separati con figli minorenni non ha la custodia condivisa effettiva, e in molti casi viene ridotto a un ruolo marginale, sia affettivamente che economicamente.
E non è tutto. In molti Paesi, compresa l’Italia, i ragazzi vittime di violenza domestica vengono espulsi dai centri antiviolenza una volta compiuti 15 o 16 anni, perché "somigliano troppo ai violenti". Non perché non abbiano più bisogno di aiuto, ma perché non rientrano più nella categoria “accettabile” di vittima. Il loro genere li esclude, l'ideologia estremista li esclude.
Sempre se riescono ad entrare in un centro antiviolenza: secondo Across Walls gli uomini sono molto sottorappresentati in queste strutture: sono solo l'8% degli ospiti nonostante gli uomini siano il 40% delle vittime totali di violenza domestica.
📉 Il caso di Trento: quando la vittima è un uomo (e un bambino)
Un esempio recente e drammatico arriva da Trento. Una madre è stata allontanata da casa dopo aver maltrattato il figlio e il compagno per diverso tempo. Il bambino e il padre sono stati trasferiti in una struttura protetta. È un caso che ha fatto notizia, ma quanti altri simili passano sotto silenzio? E se non ci fosse stata questa struttura sicura, che fine avrebbero fatto l'uomo ma soprattutto il bambino?
La narrazione dominante tende a ignorare o minimizzare la violenza femminile, soprattutto quando le vittime sono uomini o bambini maschi. Eppure, secondo i dati ISTAT, il 18% delle vittime di violenza domestica sono uomini. Una percentuale che potrebbe essere molto più alta, considerando il forte stigma sociale che impedisce a molti di denunciare.
🧠 Il paradosso culturale: l’uomo come colpevole per definizione
L’idea che la violenza abbia “sempre lo stesso sesso” è una semplificazione ideologica che non regge alla prova dei fatti. La violenza non è unidirezionale, né esclusiva di un genere. È un fenomeno complesso, che può colpire chiunque — e può essere agita da chiunque.
Ridurre tutto a “violenza maschile contro le donne” significa ignorare:
gli uomini abusati da partner donne (fisicamente o psicologicamente),
i figli maltrattati da madri violente,
i ragazzi espulsi dai centri di accoglienza perché “troppo grandi” per essere considerati vittime.
Questo approccio non solo è ingiusto, ma è anche pericoloso. Perché crea vittime invisibili. E una società che sceglie chi può soffrire e chi no, chi può essere aiutato e chi no, non è una società giusta. È una società ideologizzata.
📣 Conclusione: aiutare chi soffre non è mai un attacco
Le parole della senatrice Valente non sono solo discutibili. Sono gravi. Perché pronunciate da una figura istituzionale, contribuiscono a rafforzare un clima culturale in cui l’uomo è colpevole per definizione, e la sua sofferenza è irrilevante.
Ma la violenza non ha un solo volto. E la vera uguaglianza non si costruisce negando il dolore altrui, ma riconoscendolo. Aiutare gli uomini vittime di violenza non è un attacco alle donne. È un atto di giustizia. E chi lo ostacola, in nome di un’ideologia dogmatica, non difende i diritti. Li nega.